El Maracanazo

Pubblicato il 18 Luglio 2012 alle 22:02 Autore: L Undici
Il Maracanà

[ad]Le dinamiche della psiche sono a volte strane e lo sport non fa che esaltarle. Dopo el gesto teatrale del jefe, cominciò un’altra partita. Al ventesimo minuto, Varela lancia l’ala destra Ghiggia (un altro oriundo italiano) che s’invola sulla fascia e mette al centro per l’accorrente Schiaffino, tiro di controbalzo, e goal!!! Uno a uno! Panico tra i brasiliani, silenzio nello stadio, si sentono solo le grida di Obdulio.

Come una serpe, nell’anima dei brasiliani, comincia ad insinuarsi il dubbio e l’incertezza: anche gli avversari possono segnare…e se ne hanno fatto uno, possono farne anche un altro…

Al trentaquattresimo minuto, Ghiggia sfugge al suo avversario, riceve un passaggio e tira verso la porta brasiliana, la palla sfiora il palo e s’insacca: goal!!!! Due a uno Uruguay…

Il Maracanà tacque improvvisamente, tutti rimasero muti e attoniti: a volte né le parole, né il corpo sono in grado di esprimere un’emozione: si può solo rimanere pietrificati. Lo shock di quel goal fu tale che ogni brasiliano vi materializzò i propri traumi, tanto che – essendoci poche e confuse immagini – ogni spettatore può probabilmente raccontarne una versione diversa. Per questo lo scrittore brasiliano Carlos Heitor Cony dichiara di “aver smesso di credere in Dio quel giorno. Non tanto per la sconfitta, bensì perché non ho incontrato due persone che descrivessero il gol di Ghiggia nello stesso modo. E allora come credere al racconto di una mezza dozzina di apostoli che videro a Gesù Cristo resuscitato in un luogo deserto e oscuro?”.

Rimanevano undici minuti più il recupero. Come ovvio l’Uruguay si chiuse a difesa del risultato e il Brasile attaccò alla disperata, ma ci sono giorni in cui gli dei si ricordano solo di alcuni dei loro figli. All’ultimo minuto i brasiliani batterono il loro quinto corner della ripresa: tutto il Brasile si riversò in area, attaccanti, difensori, portiere, donne, uomini e bambini… ma il pallone non entrò e l’arbitro inglese fischiò la fine. L’Uruguay aveva vinto il suo secondo mondiale e i brasiliani lo avevano perso a casa loro, il giorno che pareva destinato al loro trionfo. Come un matrimonio che non si celebra e la torta si scioglie in solitudine, come il giorno dell’incoronazione e il re muore pochi minuti prima…

Varela abbraccia Ghiggia a fine partita

Varela abbraccia Ghiggia a fine partita

Gli uruguayani festeggiarono piangendo di gioia, i brasiliani impietriti dal dolore. Racconta la leggenda che Obdulio Varela quella notte uscì solo per le strade di Rio, passando di bar in bar, per consolare i tifosi brasiliani che aveva contribuito a riempire di dolore. Si dice anche che la squadra uruguayana non sapeva come e quando lasciare il paese per paura di rappresaglie (che non ci furono) e che decine e decine di brasiliani si suicidarono e altrettanti furono colpiti da infarto.

Quel che è certo è dopo quella partita (chiamata El Maracanazo, un termine difficilmente traducibile che può assomigliare a “la Maracanata” o “il Maracanissimo”) il Brasile non disputò neanche una gara nei due anni successivi e dopo quel giorno, per provare dimenticare, cambiò la propria divisa di giuoco dal bianco che usava prima del Maracanazo all’attuale maglia oro con pantaloncini azzurri.

E’ anche certo che El Maracanazo rimane marcato a fuoco nell’immaginario collettivo brasiliano e del football tutto, a celebrare e ricordarci l’imprevedibilità e l’illogicità del football in primis e della vita in generale. Da cui discende la loro estrema bellezza. Non tutto va sempre come è prevedibile che vada: la palla è rotonda e – come diceva Italo Svevo (e probabilmente anche el negro jefe) – la vita è originale…

[articolo originale pubblicato su L’Undici]

 

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