19 Luglio, vent’anni di antimafia
Il 19 luglio è una data che resterà indelebile nella storia d’Italia. Emblema della barbarie mafiosa e inizio della coscienza antimafiosa che, nel nostro Paese, è nata con Falcone e Borsellino. Cosa significa vivere in una regione dove è presente la mafia? Significa vivere in un posto sottosviluppato, dove non si hanno infrastrutture, dove si viene cercati solo come serbatoio di voti, dove il clientelismo e l’omertà la fanno da padrone, dove si ha paura a far valere i propri diritti e di incrociare gli sguardi sbagliati.
[ad]Ebbene, fortunatamente, tutto questo pare stia per finire. La Sicilia è passata dall’essere una scuola di mafia ad una scuola di antimafia. Nessuno può mettere in dubbio gli sforzi enormi che tutti i giorni vengono fatti dalle forze dell’ordine nonostante i sempre minori mezzi di cui dispongono. Nessuno deve dimenticare nemmeno il lavoro che compiono magistrati e avvocati per permettere che la mafia sia arginata e combattuta giorno per giorno. I mafiosi lo sanno bene: uccidono coloro che non si piegano e spesso, in passato, questo gli è riuscito facile. Paolo Borsellino è stato ucciso esattamente 20 anni fa mentre andava a trovare sua madre in Via d’Amelio. Per essere sicuri di ucciderlo, hanno imbottito una Fiat 126 con 100 kg di tritolo. Il corpo di Borsellino fu scagliato a decine di metri dall’esplosione e trovato a pezzi. A pezzi. Uccisero un uomo dilaniandolo. Le forze dell’ordine che arrivarono dopo l’esplosione camminavano su resti umani dei loro colleghi della scorta.
Non so se alcuni di voi sono stati in Via D’Amelio: è una strada stretta dove sono presenti ai lati autovetture sempre parcheggiate. Proprio per questo era stato richiesto di procedere alla rimozione dei veicoli parcheggiati perché, appunto, potevano creare un pericolo. L’autorizzazione fu negata dal comune di Palermo.
Ma perché la mafia uccise Borsellino a soli due mesi di distanza da Falcone? Falcone, ricordiamo, è stato ucciso il 23 maggio sull’autostrada che dall’aeroporto di Punta Raisi porta a Palermo, esattamente all’altezza dello svincolo per Capaci. I mafiosi vollero essere talmente sicuri di ucciderlo che non esitarono a far saltare in aria un pezzo di autostrada, mettendo in pericolo le decine, se non centinaia di automobilisti che transitavano da lì.
Perché ricordiamoci che la mafia se ne frega se vanno di mezzo innocenti: devono fare un attentato e quindi non esistono danni collaterali. Tutti sono colpevoli e tutti possono morire. Ora su quel tratto di autostrada due colonne rosse, ognuna per senso di marcia, ricordano i morti uccisi per lo Stato. Ma bastano solo due colonne per ricordare il sacrificio di uomini e donne innocenti? Perché, ripeto, fu ucciso Borsellino a meno di due mesi dal suo amico Falcone? Perché la mafia stragista di Riina era ancora assetata di sangue innocente? E’ vero, dopo la morte di Falcone diventò Borsellino il bersaglio numero uno, ma forse non basta questo per replicare un’azione tanto eclatante. Borsellino sapeva che sarebbe stato il prossimo: addirittura sapeva che il carico di tritolo era arrivato a Palermo e che era destinato a lui. Ma allora se lo sapeva lui era evidente che lo sapessero altri. Perché quindi non si è cercato di far di tutto per proteggere il giudice? Questa domanda porta ad un’altra ancora più pressante: e’ vera la trattativa Stato-mafia?
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[ad]I mafiosi volevano trattare con lo Stato per diminuire la forza del 41 bis? Questo regime carcerario fu ritenuto, dal Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani, il più duro tra tutti quelli applicati nei Paesi da esso esaminati. In sostanza il detenuto è completamente tagliato fuori dalla vita esterna tanto da fargli avere allucinazioni e problemi psico-fisici permanenti. Per questo motivo è stato ucciso Borsellino? Lo Stato tentennava e quindi la mafia ha voluto dare prova che non scherzava? Ma se lo Stato tentennava vuol dire che qualcuno si era messo in contatto con esso. E chi? Quando ? Come? Che fine ha fatto l’agenda rossa che Borsellino teneva gelosamente e nella quale appuntava tutti i suoi pensieri e le sue paure? Chi gli stava accanto disse che nei due mesi che separarono la sua morte da quella di Falcone egli ripetesse come un mantra “non c’è tempo, non c’è tempo, devo fare presto”.
Sapeva che di lì a poco sarebbe toccato a lui e non si dava pace di dover lasciare incompiuto il suo lavoro, certo che se avesse avuto più tempo gran parte della cupola mafiosa sarebbe stata distrutta una volta e per sempre. Il 19 luglio è il giorno adatto per ricordare tutti coloro che sono caduti per mano delle mafie: camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita e mafia siciliana da troppo tempo insanguinano l’Italia. La insanguinano talmente tanto che sono stati creati nel nostro Paese i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Cosa vuol dire? Vuol dire che senza una riforma seria della classe dirigente, che troppo spesso ha sopportato e supportato la mafia, noi non potremo essere sicuri di sconfiggere le mafie. Senza una seria legge che imponga ai partiti l’incandidabilità di coloro che hanno subito condanne, di coloro che sguazzano nelle zone grigie del nostro Paese, di coloro che pensano a se stessi e non al bene comune, le mafie prolifereranno sempre. Si possono arginare, ma se chi ci governa è colluso non si potranno estirpare. Uso proprio questo termine, estirpare: Nicola Gratteri, magistrato calabrese che vive da più di vent’anni sotto scorta essendo uno dei più accaniti giudici che lottano contro l’’ndrangheta ha scritto vari libri a quattro mani con Antonio Nicaso, uno tra i maggiori esperti di ‘ndrangheta a livello internazionale. Uno di questi si intitola “La mala pianta”. Parla del radicamento che la mafia calabrese ha nel nostro Paese e di come essa sia riuscita a proliferare con l’aiuto della classe dirigente e dell’omertà. La mafia è una mala pianta. E siamo noi a doverla estirpare.
Viva la Sicilia, Viva l’Italia, Viva Falcone, Viva Borsellino.