Siete mai stati in un rifugio anti-aereo?

Pubblicato il 29 Luglio 2012 alle 15:42 Autore: L Undici

[ad]È esistito ed esiste un preciso filo conduttore che unisce gli elementi fondanti e violenti del fascismo e del nazismo ed il loro “coronamento” sotto forma degli orrori dei campi di concentramento e le 41 ore di bombardamento indiscriminato sulla popolazione civile di Barcellona. E quegli elementi altro non sono se non la consacrazione del privilegio e della disuguaglianza che non è affatto “roba d’altri tempi”. Il seme dell’oppressione, del razzismo, della tracotanza è sempre vivo. E’ qui tra noi, oggi come ieri. Oggi, fortunatamente, in Europa non trova il terreno adatto per dar vita ad un tragico frutto come settant’anni fa, ma perché ciò non riaccada di nuovo, è vitale e necessario ricordare, riflettere, vigilare su ciò che accade dentro e fuori di noi. In Italia, nelle nostre strade e anche sotto Plaça del Diamant.

Le persone di fronte a me si alzano, la ragazza catalana ha finito di parlare, la visita sta volgendo al termine. Abbiamo qualche minuto “libero”. Possiamo vagare a zonzo per i cunicoli del rifugio. Non è un labirinto, ma tutti hanno il malcelato timore di perdersi e rimanere intrappolati nell’oscurità sottoterra. Mi allontano dal gruppo di qualche metro, voglio stare un po’ da solo: imbocco una galleria laterale. Mi fermo, mi guardo intorno: i mattoni, i fili elettrici che scorrono lungo le pareti, una piccola sporgenza nel muro dove veniva appoggiata una lampada. Poi alzo la testa e qualcosa attira la mia attenzione. Sul soffitto scuro color mattone, c’è una scritta nera, probabilmente tracciata con un carboncino. Mi scosto per vedere meglio. “Rafael 1938″…

Chissà cosa pensava Rafael quando era qui, proprio dove ora sono io, più di settant’anni fa. Forse era un ragazzo che, seppure sotto le bombe, nell’oscurità opprimente di un rifugio anti-aereo, non aveva perduto il giocoso piacere di scrivere il proprio nome su un muro. Chissà com’era fatto, chissà com’erano i suoi occhi. Chissà cosa stava facendo quando suonò l’allarme e scese di corsa le scale per rifugiarsi nel buio sotto Plaça del Diamant. Chissà se aveva paura o se aveva ormai fatto l’abitudine al suono delle sirene. Chissà cosa voleva fare da grande, chissà che vita aveva in mente, chissà quali erano i suoi desideri. Alzo la mano e sfioro la sua firma con le dita. Chissà cosa sognava nelle ore trascorse in questo cunicolo buio…forse solo di stendersi su un prato sotto il sole, nel profumo dell’erba appena tagliata, perdendosi nelle nuvole che navigano nel cielo e chissà dove vanno…

[articolo originale pubblicato su L’Undici]

L'autore: L Undici

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