Anche se è difficile offrire una quantificazione precisa, è indubbio che parte del riacutizzarsi della crisi finanziaria nel Paese sia dovuto alle incertezze del dopo-Monti e ad un generale scetticismo da parte dei mercati finanziari e degli stessi partner politici dell’Italia verso chiunque sarà destinato a sostituire l’attuale inquilino di Palazzo Chigi.
[ad]Se la notizia del ritorno in campo di Berlusconi alla guida del centrodestra non viene certo vista come un fattore positivo per l’outlook del nostro Paese da buona parte dei commentatori politici, è anche vero che la recente Assemblea Nazionale del Partito Democratico non ha certo offerto un’alternativa credibile per un governo in grado di traghettare l’Italia nella crisi più dura della sua storia.
L’evento, tenutosi il 14 luglio a Roma, è stato infatti offuscato da alcuni episodi piuttosto imbarazzanti su temi storicamente scottanti per il partito, come i matrimoni omosessuali, oppure strettamente correlati ai prossimi impegni elettorali, come la data delle future elezioni primarie o il limite dei mandati ai parlamentari.
L’evento ha in parte nascosto alcuni risultati comunque significativi raggiunti dall’Assemblea su svariati temi quali la necessità di formalizzare comunque delle unioni civili per gli omosessuali, oppure – anche se in forma forse volutamente vaga – l’utilizzo delle primarie per la scelta dei candidati al Parlamento alle prossime elezioni politiche.
Sugli ordini del giorno considerati più scomodi, tuttavia, si è arrivati ad un “non luogo a votare”, adducendo a tecnicismi legati all’affinità tra gli odg e altri già votati in precedenza ma evidenziando in realtà tutti i limiti di una classe dirigente del PD incapace di dialogare con la propria base e completamente presa in un risiko di alleanze e preparazione al voto che sembra non tenere conto nemmeno più dell’umore dei militanti.
È infatti evidente che che un ordine del giorno sulle primarie ed uno sui matrimoni omosessuali, se votati e quindi vincolanti per determinare l’azione politica futura del PD, possono agevolare o bloccare interi percorsi politici; nella fattispecie, il vero oggetto del contendere è l’alleanza con l’UdC di Casini, una strada che molti nella dirigenza democratica vedono ormai come intrapresa (come dimostrano le parole di Fioroni al termine dell’Assemblea Nazionale) ma che rischia letteralmente di far deflagrare una base elettorale ancora saldamente di sinistra.
Ed è quindi nella piena consapevolezza degli impatti politico-elettorali di simili decisioni all’apparenza solo interne alla vita democratica di un partito che si deve collocare l’interessante azione promossa da Giuseppe “Pippo” Civati, consigliere regionale lombardo nelle fila del PD noto per la sua attività di blogger, per essere una delle figure più di spicco dei cosiddetti “rottamatori” (sebbene il suo tira e molla con l’altro grande rottamatore, Renzi, abbia generato qualche confusione sulla sua reale posizione) e l’anima ispiratrice di Prossima Italia, un think tank di solida matrice democratica volto tuttavia ad un forte rinnovamento del partito.
Proprio da Prossima Italia Civati lancia quella che potrebbe diventare la chiave di volta del futuro del PD e far fare al partito – ben più della strada intrapresa da Renzi – quel salto di qualità generazionale e mentale di cui sempre più spesso si sente il bisogno.
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[ad]Rifacendosi infatti all’articolo 27 dello statuto del PD, Civati propone l’istituzione di cinque referendum interni al PD per vincolare la segreteria, se così vorranno gli elettori del partito, ad azioni e posizioni che persino l’Assemblea Nazionale non ha avuto il coraggio di affrontare.
Lo statuto del PD, in effetti, lascia ampio margine di azione a iniziative referendarie:
Articolo 27. (Referendum e altre forme di consultazione)
1. Un apposito Regolamento quadro, approvato dalla Direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, disciplina lo svolgimento dei referendum interni e le altre forme di consultazione e di partecipazione alla formazione delle decisioni del Partito, comprese quelle che si svolgono attraverso il Sistema informativo per la partecipazione.
2. È indetto un referendum interno qualora ne facciano richiesta il Segretario nazionale, ovvero la Direzione nazionale con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei suoi componenti, ovvero il trenta per cento dei componenti l’Assemblea nazionale, ovvero il cinque per cento degli iscritti al Partito Democratico.
3. La proposta di indizione del referendum deve indicare: la specifica formulazione del quesito; la natura consultiva ovvero deliberativa del referendum stesso; se la partecipazione è aperta a tutti gli elettori o soltanto agli iscritti.
4. Il referendum è indetto dal Presidente dell’Assemblea nazionale, previo parere favorevole di legittimità della Commissione nazionale di garanzia, sulla base di uno specifico Regolamento approvato dalla Direzione nazionale.
5. La proposta soggetta a referendum risulta approvata se ottiene la maggioranza dei voti validamente espressi.
6. Il referendum interno può essere indetto su qualsiasi tematica relativa alla politica ed all’organizzazione del Partito Democratico. Il referendum può avere carattere consultivo o deliberativo. Qualora il referendum abbia carattere deliberativo, la decisione assunta è irreversibile, e non è soggetta ad ulteriore referendum interno per almeno due anni.
7. Le norme dello Statuto, fatto salvo quanto previsto all’articolo 43, comma 3, non possono essere oggetto di referendum.
Civati sceglie di non proporre direttamente i cinque quesiti, peccando forse – e non sarebbe la prima volta – in carenza di leadership, ma propone al contrario che siano gli iscritti, attraverso Prossima Italia, a definire e rifinire quali saranno i quesiti referendari, limitandosi a indicare le aree di azione: fisco, diritti civili, ambiente, spesa pubblica e governo del Paese.
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[ad]Contrariamente a molte simili iniziative persesi nel nulla, Civati mantiene la promessa e pubblica un vademecum sul funzionamento dei referendum interni al PD, ne delinea con chiarezza la tipologia – raccolta firme presso gli iscritti, votazione aperta a tutti i simpatizzanti, tipologia di voto vincolante per l’azione politica del partito – e, sulla base della partecipazione alla scelta delle domande, evidenzia già i temi che saranno toccati dal referendum:
Quali sono i quesiti?
Nei giorni scorsi abbiamo fatto alcune proposte e aperto una riflessione allargata sui temi che ci sembravano più importanti per la proposta politica del PD. Tra questi, i diritti civili e il matrimonio gay, la riduzione dell’Irpef attraverso un’imposta sui patrimoni, un quesito sui grandi temi ambientali del Paese, la riduzione della spesa militare, il reddito di cittadinanza, la corruzione e la riforma della politica, e infine un quesito di indirizzo politico, dedicato all’alleanza con l’UdC e altre forze già al Governo con il centrodestra negli ultimi vent’anni. Proprio in questo momento una serie di esperti nei vari temi sta valutando la fattibilità dei quesiti e lavorando a una loro formulazione ufficiale e ammissibile. Contiamo di pubblicarli il prima possibile.
Lo stesso Civati, in questa seconda uscita sul tema, dimostra di essere ben conscio della portata che un referendum tra gli iscritti può avere sulla futura vita del partito, quando parla espressamente di alleanze e di proposte politiche semplici, forse incomplete, ma certamente molto concrete.
Sicuramente, vista la popolarità tanto delle proposte quanto del mezzo di espressione, l’unico ostacolo alla riuscita di questo progetto rischia di essere una scarsa diffusione dell’iniziativa, che impedisca di raggiungere le firme necessarie alla presentazione dei referendum oppure che releghi l’operazione ad una semplice formalità interna alla vita del partito. Sembra infatti difficile che il PD, se messo alle strette, possa e voglia sopportare la pubblicità negativa di aver accantonato una simile espressione di democrazia.
Civati lo sa bene, ed il tam tam mediatico, soprattutto su internet, è già iniziato. Sarà sufficiente? La storia recente insegna che lo spaccato dell’elettorato reale del PD è ben lontano dalla sua componente più informatizzata: i risultati di Marino alle primarie del 2009, che da quanto si poteva apprezzare dal web pareva essere un candidato con potenzialità molto maggiori dei suoi risultati reali, ne sono un monito costante.
Eppure si tratta forse di una delle ultime occasioni per vincolare una classe dirigente alla volontà popolare, attraerso uno strumento che costituisce forse la massima espressione democratica. Un’occasione da non perdere, un’occasione da non sprecare.