Burgas, cosa c’è dietro l’attentato contro i bus israeliani?
La ricerca del colpevole
[ad]Il 22 luglio la Bulgaria ha fatto sapere che nulla è emerso dall’esame dei campioni di DNA dell’attentatore inviati negli Stati Uniti, dove non sono state riscontrate corrispondenze con alcun ex detenuto di Guantanamo. Esaminato pure l’esplosivo, senza rintracciare uguaglianza con quelli impiegati in esplosioni precedenti. “É importante per noi capire quando l’uomo è entrato in Bulgaria – ha dichiarato venerdì scorso il ministro degli Interni Tsvetan Tsvetanov – e da quanto tempo si trovava all’interno dei nostri confini prima dell’attacco. Gli esperti stanno raccogliendo informazioni e noi le stiamo condividendo con tutte le parti coinvolte” ha concluso il politico incaricato delle indagini, ricordando la stretta collaborazione con Israele e aggiungendo che non si esclude l’esistenza di un complice. Il piano infatti risulta troppo complesso per una persona sola. Più ragionevole, secondo gli investigatori, che ne siano servite almeno due per elaborare i passaggi, sorvegliare gli autobus ed assemblare gli esplosivi. Anche su questo fronte si continua a investigare senza alcun indizio significativo. Guardando infine alle caratteristiche fisiche del giovane individuato nelle riprese interne del terminale, è difficile non trovarlo troppo fedele all’identikit standard del kamikaze: lunghi capelli ondulati, barba e cappellino, vestito da giramondo. Strano che un attacco terroristico sia architettato con un’attenzione così scarsa a camuffare i dettagli sospetti. Inoltre, stando a testimoni citati dalla procura regionale di Burgas, il giovane avrebbe tentato di noleggiare un auto a Pomorie, luogo di mare a 20km dall’aeroporto. Il noleggiatore e sua moglie ricordano un uomo che ha chiesto un veicolo parlando in inglese con accento arabo, che ha mostrato “una gran quantità di banconote da 500 euro” nel tentativo, vano, di ottenere una vettura per 4 giorni, nonostante sia disponibile solo il servizio in giornata. Un comportamento piuttosto sconsiderato per un attentatore esperto, a mio avviso.
Israele e Usa: c’è il marchio Hezbollah
Per Israele non ci sono dubbi. Tel Aviv ha da subito accusato l’Iran, precisando che il mandante sarebbe Hezbollah, il partito sciita libanese. Così si è espresso il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu: “Tutti gli indizi portano all’Iran. Nei mesi scorsi altri attacchi simili sono stati compiuti in Israele, Tailandia, India, Georgia, Kenya e Cipro”. Il ministro degli affari esteri Avigdor Lieberman sostiene l’esistenza di prove concrete che il responsabile dell’attacco è Hezbollah, in stretta cooperazione con la Guardia Rivoluzionaria Iraniana. Gli Stati Uniti esibiscono la stessa sicurezza. Dall’ufficio stampa del Pentagono, il segretario George Little riferisce ai giornalisti che “l’episodio porta i segni distintivi di Hezbollah“. Quali siano questi tratti tipici non è dato saperlo, stando alle fonti ad oggi disponibili. Sembra evidente, in definitiva che l’importante per Israele e per gli Usa è accusare l’Iran. L’Iran ha negato e accusato Israele a sua volta. Il solito battibecco, purtroppo da non sottovalutare. La Bulgaria, da parte sua, dichiara di non accusare nessuno e di attendere gli sviluppi delle indagini.
La Bulgaria sapeva di essere a rischio
Accuse a parte, ammesso la cellula Base of Jihad sia davvero la responsabile del folle gesto e non stia solo cercando di appropriarsene, perché colpire proprio in Bulgaria per danneggiare Israele? Oltretutto, anche se si tratta del primo caso del genere in Bulgaria, a gennaio era stato sventato un piano anti-israeliano nel Paese. C’è dell’altro. Il Mossad, l’intelligence israeliana, due mesi fa aveva indicato la Bulgaria come territorio a rischio attentati. Un suggerimento di cui non ci sono spiegazioni. La Bulgaria d’altro canto non è un luogo improbabile per attaccare Israele e non deve stupire che i colpevoli si siano messi a seguire il tragitto di una comitiva in vacanza dallo stato ebraico. I due Paesi, infatti, non sono lontani come possono sembrare.
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