Una delle critiche più feroci rivolte al berlusconismo inteso come sistema di potere e propaganda della II Repubblica riguarda sicuramente l’utilizzo della televisione come strumento di controllo delle masse.
È in effetti innegabile, come evidenziano anche le serie storiche dei dati AGCom sul pluralismo televisivo, che Berlusconi sia riuscito a trasformare le tre reti Mediaset nel kernel della diffusione del proprio messaggio politico, condizionando in maniera anche pesante l’opinione pubblica pro o contro determinate posizioni.
[ad]Quasi per reazione dinanzi all’evidenza e alla portata di un simile fenomeno diventa quasi un obbligo guardare alla televisione del passato come ad una sorta di Eldorado, un luogo ed un momento mitizzato fatto di libertà e professionalità.
In realtà l’utilizzo politico di questo controverso mass media non è un’invenzione del berlusconismo, e uno degli esempi più evidenti di questo fenomeno si verificò alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 con l’invasione, sugli schermi televisivi del Bel Paese, degli anime giapponesi.
I primi anime ad essere trasmessi in Italia, se si escludono alcuni lungometraggi, furono Barbapapà nel 1976, Vicky il Vichingo nel 1977, Heidi e Atlas UFO Robot nel 1978. A questi precursori seguirono oltre un centinaio di serie animate acquistate tanto dalla RAI quanto dalle televisioni commerciali negli anni a cavallo tra i ’70 e gli ’80, quando una crescente campagna contro i cartoni animati giapponesi provocò uno stop alle tramissioni di nuove serie fino alla seconda metà degli anni ’90.
Un mondo nettamente diverso dall’attuale: un mondo dove non erano ancora stati approvati i decreti Berlusconi (Decreto Legge 694/1984, Decreto Legge 807/2984, Decreto Legge 223/1985) o la Legge 223/1990 (Legge Mammì), un mondo che usciva dalle contestazioni giovanili del 1977, dove lo Statuto dei Lavoratori era una novità, Mediaset non esisteva ancora come la conosciamo, imperversava il terrorismo di destra e di sinistra e la RAI, dopo la riforma del ’75, era rigidamente spartita tra DC, PSI e PCI; un mondo, in sostanza, così diverso nella forma ma così simile nella sostanza a quello attuale.
La comprensione e la contestualizzazione degli scenari politici dell’epoca è fondamentale per cogliere appieno le cause e gli effetti di uno degli strumenti più vergognosi della televisione, la censura, applicato ad un medium che ben pochi legherebbero alla politica, ovvero gli anime. In effetti, buona parte delle operazioni di censura operate dalla televisione italiane sui cartoni animati sono state legate al sesso e alle scene di nudo, basti pensare ai casi di Kmagure Orange Road oppure Sailor Moon; in diversi casi, tuttavia, la matrice della censura fu espressamente di natura politica, e proprio tali casi possono offrire un’importante testimonianza storica dell’uso della televisione come strumento di controllo del pensiero in epoca pre-berlusconiana.
Dopo le prime serie animate giapponesi prettamente dedicate ad un pubblico pre-adolescenziale (kodomo), sostanzialmente innocue, i canali RAI ed in particolare RAI 2 iniziarono tuttavia a interessarsi a serie più adatte ad un pubblico più maturo; tra queste, apparvero ad esempio Lupin III e Capitan Harlock nel corso del 1979, serie considerate da subito molto problematiche perché i loro protagonisti erano uomini che vivevano ai bordi della legge, se non in aperta opposizione. In particolare fu la seconda di queste due serie a subire i tagli più pesanti, tagli che l’edizione integrale della Yamato consente di apprezzare appieno, in quanto non ridoppiati ma lasciati in lingua originale sottotitolata in italiano.
Nell’anno 2977, gli abitanti della Terra, unificati sotto un governo mondiale, trascorrevano i loro giorni nell’apatia. Solo pochi uomini avevano scelto la bandiera della libertà, e sfidando le nuove frontiere dell’avventura erano salpati verso l’immensità, diventando pirati dello spazio. Ma a due milioni di anni luce dalla Terra, un’immensa carovana di astronavi si sta muovendo alla ricerca di un nuovo spazio vitale per la razza mazoniana, che in un tempo ormai remoto discese sulla Terra, ed ora è pronta a rivendicare ciò che ritiene la propria seconda patria. E quando gli osservatori astronomici iniziano a saltare in aria uno dopo l’altro, il governo non trova di meglio che incolpare un outsider, un pirata, una leggenda: Capitan Harlock.
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[ad]La semplice presentazione della versione DVD dell’opera lascia intendere appieno gli elementi con cui ci si troverà a che fare nella serie: un governo imbelle, un popolo sopito, un contestatore che lotta per la libertà ai margini della legge e dalla legge anzi ostacolato. Se il ladro Lupin III, pur essendo un criminale, è comunque inserito nel sistema sociale in cui vive, Capitan Harlock è invece un’accusa ed una critica sociale molto pesante contro l’inazione politica e lo smarrimento dei valori, una bandiera dell’impossibilità di abdicare ai propri principi nel nome della semplice convivenza sociale.
Per quanto i sostenitori della censura parlino della protezione degli individui da contenuti pericolosi, è evidente come – e la giustificazione esposta non lo nega – la censura in realtà nasca dal bisogno di prevenire nel popolo il sorgere di determinati pensieri, la presa di coscienza di determinate opinioni.
Agendo retroattivamente, analizzando la censura operata su questo anime, emerge un quadro desolante in cui la partitocrazia italiana al comando della RAI esprime tutta la propria sottile capacità di conservazione del potere attraverso l’epurazione di elementi anche solo lontanamente di critica. Osservando l’entità degli interventi censori, si può letteralmente parlare di una coda di paglia da parte dei politici italiani, evidentemente riconosciutisi nell’imbelle classe dirigente che domina la Terra nell’anime.
La produzione RAI ebbe da ridire sull’opera a partire dalla sigla, in particolare per quanto riguarda il verso il suo teschio è una bandiera che vuol dire libertà, in quanto riteneva ricordasse la X MAS, la divisione dell’esercito della Repubblica di Salò che al comando di Borghese contrastò assieme ai tedeschi l’avanzata degli alleati sul suolo italiano, ed il cui stemma era proprio un teschio. La sigla andò in onda senza censura e senza modifiche, ma l’opera venne circondata da un’ingiustificata fama di filo-fascismo per diverso tempo.
Sin dall’introduzione del cartone si notano i primi tagli: la Terra di Harlock è un mondo in declino, una civiltà stanca e stemperata, preda di un governo corrotto e non interessato al bene pubblico e in cui la popolazione è tenuta in uno stato di serenità permanente grazie a trasmissioni televisive manipolate. Questa parte, anche se per diversi aspetti è stata riportata fedelmente nella versione italiana, ha subito diverse edulcorazioni; il taglio ha di per sé quasi dell’ironico, considerando che afferma l’esistenza di una manipolazione simile a quella descritta nel cartone…
La scena censurata forse più celebre si trova tuttavia nella 4° puntata dell’anime, e riguarda il momento in cui uno dei personaggi principali, Tadashi Dayo, in fuga da una città terrestre dopo aver visto il proprio padre ucciso dagli invasori alieni di turno, aver tentato di avvertire il governo della minaccia ed essersi ritrovato per questo arrestato e condannato, spara ad una bandiera del governo urlando “Tu non sei più la mia bandiera” prima di arruolarsi definitivamente nella compagine di Harlock. L’idea di rinnegare la propria patria per seguire un fuorilegge – non importa quali fossero gli ideali che muovevano tanto la patria quanto il fuorilegge – unita all’oltraggio della distruzione del simbolo patriottico della bandiera era evidentemente insopportabile per la RAI dell’epoca, e nella versione integrale del DVD si assiste quindi ad una lunga scena, oltre una decina di secondi, interamente in lingua giapponese.
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Analogamente, le parole di Harlock allo stesso Dayo, “Combatti per ciò in cui credi e non per obbligo” sono state considerate non prudenti da divulgare in un Paese in cui era in corso una vera e propria guerra in corso con le Brigate Rosse, e in cui ancora diverso tempo dopo un Presidente della Repubblica, il DC Cossiga (all’epoca della messa in onda di Harlock Presidente del Consiglio), rifiutò di firmare una legge sull’obiezione di coscienza. Emerge quasi con tristezza in queste operazioni il tentativo dello Stato di estirpare sul nascere sentimenti antipatriottici considerata l’incapacità di garantire la fedeltà dei propri cittadini attraverso una buona politica.
In taluni casi è persino evidente la mano che guidò la censura: il corpo militare al servizio del governo terrestre che da la caccia ad Harlock non brilla certo per efficienza, e spesso è proprio a causa dei soldati che il Consigliere Kirita fallisce nei suoi tentativi di assicurare alla giustizia del pianeta il pirata. In un episodio i soldati sono tutti in licenza, in un altro invece si rifiutano di intervenire perché è l’ora del tè, e alle parole infuriate di Kirita viene risposto “Ma non possiamo andare contro lo statuto dei lavoratori”. Nemmeno dieci anni prima il PSI e la triade sindacale (con il nullaosta del PCI) si erano battuti allo strenuo proprio per l’approvazione di una legge che portava il medesimo nome. Vederla sbeffeggiata in questo modo non era evidentemente accettabile, e così la frase si perse nell’edizione italiana.
Poco prima del già citato episodio della bandiera Dayo afferma che il Primo Ministro, interessato soltanto al golf e del tutto inadatto al suo ruolo di guida politica del pianeta, è un codardo; anche questa frase finì nella censura: in un periodo di forti contestazioni sociali evidentemente non era auspicabile lasciar passare un simile messaggio.
Nemmeno la temibilissima Raflesia, regina del pianeta Mazone e nemica dell’umanità, sfugge ai tagli della censura: una donna, sia pure regina, che reprime nel sangue le rivolte del popolo, evidentemente, è un tema troppo forte per la società del periodo.
Il fatto che la serie si rivolgesse ad un pubblico giovane ma comunque più maturo rispetto ad altri anime del periodo, un pubblico che era già sceso in piazza nel ’77 o avrebbe potuto farlo di lì a pochi anni ha sicuramente contribuito a calcare la mano dei censori su un’opera dal forte contenuto di denuncia sociale.
Colpisce, in tutto questo, come la censura di matrice politica non avesse colore o partito, ma arrivasse indistintamente da destra, dal centro o da sinistra. La differenza tra conservatori e contestatori di quegli anni risulta quindi più sfumata di quanto le cronache l’abbiano consegnata poi alla storia: non già uno scontro tra difensori dello status quo e “rivoluzionari”, ma al contrario una costellazione di gruppi di potere ciascuno dei quali desideroso di difendere i propri totem anche attraverso la manipolazione del pensiero via la censura televisiva.
Berlusconi, senza alcun dubbio, si pone ad un livello nettamente differente di utilizzo politico della televisione. L’analisi storica del mondo televisivo prima del suo avvento, tuttavia, consente di rispondere a chi vede in Berlusconi una semplice anomalia del sistema politico italiano, un fatto transitorio terminato il quale sarà possibile rientrare in uno stato di normalità.
Berlusconi altro non è che il l’ultimo e più visibile frutto di un fertile humus di supina e consapevole accettazione alla manipolazione dell’opinione pubblica, l’evoluzione spinta all’estremo di una cultura, tipicamente italiana, di creazione del consenso fine a sé stesso, di negazione dei problemi sociali, di lassismo politico.
Per sconfiggere tutto quello che la cronaca recente ha battezzato con il nome di berlusconismo non serve – soltanto – andare oltre Berlusconi; ben più importante è consentire a Capitan Harlock, paladino virtuale del libero pensiero, di vincere la sua battaglia contro la censura politica di qualsiasi colore.