Il 2 Agosto è una data che a Bologna unisce e divide, da sempre, o meglio, dal 1980, quando terroristi di estrema destra provocarono una strage alla Stazione Centrale. Ancora oggi, a 32 anni di distanza, la commemorazione della tragedia riaccende polemiche mai sopite.
[ad]Nel 1980 si era alla fine degli anni di piombo, quello di Bologna fu uno degli ultimi e più tragici episodi di quegli anni. Ottantacinque le vittime, duecento i feriti, un’intera città colpita. Le inchieste che si sono avute in seguito, che hanno portato alle condanne in via definitiva per gli ex Nar Fioravanti e Mambro, sono da sempre avvolte da forte confusione dovuta a depistaggi sistematici, come la stessa magistratura ha appurato. Negli anni la “pista nera” è stata più volte messa in dubbio: c’è chi ha inteso la strage un “avvertimento” di CIA e Mossad all’Italia (accusata di relazioni pericolose con l’Olp), chi lega la strage di Bologna a quella di Ustica, chi ci vede invece la mano dei palestinesi (ipotesi proposta da Cossiga).
L’Associazione Parenti delle Vittime da anni chiede verità, ed il fatto che questa sia di fatto negata, non fa che riaprire ogni anno la stessa ferita. Nel trentaduesimo anniversario, la ferita la riaprono Licio Gelli e Giusva Fioravanti. Il piduista in un’intervista del 2010, resa pubblica solo poco fa, scherza su quanto avvenuto, affermando che il tutto fu causato da “una sigaretta”, mentre Fioravanti va ben oltre, affermando che “la perdita di una suocera non è una perdita”, riferendosi al fatto che il Presidente dell’Associazione, Paolo Bolognesi, è legato a quella strage “solo” dalla perdita di un parente acquisito (in realtà Bolognesi ha rischiato anche di perdere il figlio, rimasto invece ferito).
Una simile riflessione la fa però anche il parlamentare finiano Raisi, che invita Bolognesi a chiarire perché ricopra ancora, da venti anni, tale ruolo, se la suocera morì solo tre anni dopo (questo non è vero, il nome della suocera compare nella lapide commemorativa della stazione di Bologna, ndr). Non solo, presentando un proprio libro che racchiude i suoi studi sull’argomento rievoca la teoria della pista palestinese, e vi include anche la figura di Mauro Di Vittorio, un 24enne romano, morto durante la strage, legato ad Autonomia Romana, che si vorrebbe “non una semplice vittima”. Vi sarebbero, per il finiano, gli interessi congiunti dello Stato, di coprire il “Lodo Moro”, secondo il quale militanti dell’Olp avrebbero potuto operare in Italia senza essere disturbati, purché lasciassero in pace gli italiani, e quello dei comunisti, interessati a creare una strage di matrice neofascista per coprire quelle della B.R. La prova starebbe nella visita in obitorio di “un giovane mediorientale e una ragazza vestita come allora si vestivano i compagni”, che vista la salma del romano, si sarebbero dileguati in fretta. Di tutto questo però non vi sarebbe traccia nei documenti dell’Associazione. Anche su queste ricostruzioni Raisi ha chiesto a Bolognesi di dare spiegazioni.
Verità che invece Bolognesi chiede – ancora una volta – allo Stato, su tutta la vicenda: per niente convinto della “pista palestinese”, vorrebbe che si indagasse su chi allora componeva il Consiglio dei Ministri. Verità, che anche quest’anno probabilmente non ci saranno.