Dopo i grandi fasti degli anni ’50 e ’60, la corsa allo spazio è progressivamente uscita dalle priorità dell’umanità, per una serie di fattori concomitanti che passano dalla fine della Guerra Fredda negli anni ’90 all’attuale crisi economica che vincola gli Stati a politiche particolarmente parsimoniose.
Eppure la ricerca di nuovi habitat è sempre stata una costante della storia dell’uomo, e per quanto le ricerche di stili di vita all’insegna della sostenibilità siano diventate a loro volta una necessità impellente della vita moderna, la finitezza delle riserve del pianeta unita al continuo incremento della popolazione mondiale rende necessaria una ricerca di ambienti vitali più estesi di quelli conosciuti, ed è innegabile che la reale frontiera in termini di spazio e risorse – relegando alla fantascienza le profondità della Terra e gli abissi marini – sia lo spazio.
[ad]In un periodo in cui a fare notizia paiono più che altro essere i record delle indomabili sonde del Programma Voyager, in grado di regalare incredibili informazioni sullo spazio immediatamente oltre i confini del sistema solare, torna invece alla ribalta l’esplorazione di Marte, il Pianeta Rosso, nell’ambito della missione Mars Science Laboratory: la sonda è arrivata infatti sulla superficie marziana il 6 agosto 2012, per la precisione nel Cratere Gale, e da lì partirà l’esplorazione del rover, già battezzato Curiosity.
Si tratta della più ambiziosa delle missioni di esplorazione del Pianeta Rosso finora effettuate, considerate sia le dimensioni del veicolo (tre volte più pesante e due volte più largo dei precedenti Spirit e Pathfinder), sia la strumentazione scientifica a bordo: tre telecamere, una dedicata alla fase dell’atterraggio, una per le immagini microscopiche ed una spettrografica, un vaporizzatore di rocce con analizzatore di spettro, un analizzatore PIXE, un analizzatore di minerali, uno di gas, un rivelatore di idrogeno e diversi strumenti metereologici sono infatti gli organi di senso di Curiosity, il cui scopo principale riguarda proprio stabilire con certezza le condizioni di abitabilità di Marte, passata e presente, in funzione diretta di una valutazione di sostenibilità di una missione umana sul pianeta.
Le sessioni di esperimenti dedicate alla metereologia marziana e al ciclo dell’acqua e dell’anidride carbonica hanno infatti un nesso veramente immediato con la possibilità di installazioni umane sul pianeta.
Sebbene tutte le missioni spaziali orientate a Marte sotto l’egida del Mars Exploration Program siano in realtà parte di un unicum il cui fine ideale è la colonizzazione umana del pianeta, è forse la prima volta che viene calcato così tanto l’accento sugli studi di fattibilità di una spedizione umana: il programma spaziale dedicato al quarto pianeta del sistema solare sta quindi oltrepassando la fase di mero studio per entrare nell’ottica di un approccio più concreto e tangibile.
Tornando a parlare di conquista umana dello spazio, tuttavia, è impossibile non tenere in conto le necessarie valutazioni politiche del processo, valutazioni che devono necessariamente tenere conto tanto degli attuali equilibri geopolitici quanto delle proiezioni future sull’evoluzione sociale della popolazione umana nel tempo che ancora ci separa da un reale utilizzo delle risorse marziane.
In effetti, parlare di sfruttamento più e prima che di colonizzazione è corretto, in quanto è semplice ipotizzare che, ben prima che una porzione sufficiente del pianeta possa essere resa abitabile per l’uomo, vi saranno missioni, in toto o parzialmente robotizzate, a scopo estrattivo e minerario. Se da un lato questo può far scemare l’entusiasmo dei sognatori più romantici, dall’altro avvicina sensibilmente il momento in cui la fantascienza si potrà trasformare in realtà, costringendo al tempo stesso gli Stati a fare i conti con un radicale mutamento degli scenari commerciali e conseguentemente dei rispettivi rapporti di forza.
Il predominio politico del futuro passa naturalmente dal predominio tecnologico nel presente, e parlare di predominio pur in una situazione di sostanziale pace e stabilità mondiale non è errato se si pensa che già il mondo attuale si basa su rapporti di forza che pur non sfociando apertamente in conflitti armati sono in tutto e per tutto delle guerre.
In assenza di una governance mondiale in grado di regolare e redistribuire eventuali risorse extra-planetarie, solo chi sarà in grado di aprire, mantenere e rendere economicamente appetibili le vie di approvigionamento sarà in grado di regolare l’afflusso e l’immissione di nuove risorse sui mercati mondiali, candidandosi automaticamente, considerata l’entità delle cifre in gioco, come nuovo o rinnovato leader del pianeta.
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[ad]Gli Stati Uniti, in questo senso, sono sicuramente all’avanguardia, potendo contare su una tradizione di esplorazione spaziale estremamente solida e possedendo – attraverso la NASA – la leadership fattuale su pressoché ogni missione spaziale.
La Russia, dal canto suo, può contare su un background ancora più solido di quello statunitense, ma la dissoluzione dell’Unione Sovietica ed il relativo caos del periodo successivo hanno drasticamente ridimensionato le credenziali russe nella corsa allo spazio, in questo momento relegando l’ex-colosso di Mosca a ruoli piuttosto marginali e di supporto. Non è tuttavia da escludersi un ritorno sulla scena in grande stile: la Russia è un paese in ripresa, in una fase di relativa espansione interna, ed il ritardo rispetto ad altre potenze emergenti può essere facilmente colmato grazie al vasto know-how retaggio dell’epoca comunista.
Spostando lo sguardo proprio verso i Paesi emergenti, Cina in primis ma anche India e Brasile, si nota in effetti un certo gap rispetto agli USA di fatto maggiore di quanto i tassi di crescita e sviluppo interni lascerebbero intuire. Da un lato, naturalmente, la posizione consolidata degli Stati Uniti al vertice del mondo tecnologico tende di per sé a smorzare – in termini di brevetti già occupati, per fare un esempio – qualsiasi tentativo di colmare il divario; dall’altro, ed è forse un fattore più importante ancora, lo sviluppo interno di questi Stati assorbe le loro energie ad un punto tale da rendere per il momento semplicemente poco interessante una corsa allo spazio in piena regola. In particolare è la Cina che pare aver preso una strada completamente differente di controllo delle risorse, una strada forse più rapida – l’acquisizione di sterminate distese in Africa colme di ricchezze naturali, il controllo di vie commerciali di mare e di terra – ma che potrebbe a lungo termie rivelarsi non altrettanto lungimirante.
E l’Europa? Attraverso l’ESA, il nostro continente è sicuramente in primo piano dal punto di vista scientifico, e anche da quello tecnologico l’apporto offerto dagli Stati Europei è sicuramente di primissimo livello. Ciò che tuttavia manca all’Europa, la grande mancanza della UE in grado di riflettersi persino su questo ambito all’apparenza così marginale, è una governance in grado di offrire stabilità e prospettive a lungo termine in una corsa allo spazio con tutti i crismi. L’alleanza, pur naturale, con la NASA pone l’Europa in una sorta di sudditanza – reale e psicologica – che la relega ad un semplice ruolo di spalla, di appendice della superpotenza d’oltreatlantico, incapace di portare avanti un proprio programma, di quell’organizzazione e di quella lungimiranza necessarie per presentarsi come concorrente credibile e accreditato.
Il futuro del pianeta non si gioca solo nel board della BCE o nella manipolazione dello spread: a medio e lungo termine l’apertura di vie di approvigionamento extraplanetarie – di cui le risorse minerarie marziane sono solo l’esempio più concreto, ma a cui si potrebbero aggiungere in futuro l’acqua dolce estratta dalle comete o l’energia solare convertita in elettricità direttamente nell’orbita terrestre – costituirà una vera e propria cesura nella storia stessa dell’uomo. Riuscirà la vecchia Europa a trovare quell’unità di intenti necessaria a vivere quel momento decisivo da protagonista?