Comunella e liberatutti mentre brucia Jan Palach
E’ difficile tornare a scrivere dopo la lunga pausa estiva. Ed è in punta di piedi che East Journal cerca di rompere il silenzio, il proprio ma non solo. E inizia a farlo con questa rumorosa, a volte gridata, rubrica dal nome J’accuse in cui il sottoscritto, approfittando del proprio cognome, lancia sterili strali malamente emulando l’omonimo Emile. Cerchiamo dunque di riprendere il filo delle cose lasciate in sospeso.
C’è poi la faccenda delle tre cantanti della punk band russa Pussy Riot, giudicate colpevoli di vandalismo e istigazione all’odio religioso in Russia, condannate a due anni di carcere per i fatti avvenuti il 21 febbraio scorso nella cattedrale moscovita di Cristo Salvatore. In quell’occasione le femministe hanno cantato una ”preghiera” di protesta contro il presidente Vladimir Putin. ”Le cantanti – ha affermato la Corte – hanno agito provocatoriamente e in modo offensivo all’interno di un edificio religioso, in abiti inadeguati per una chiesa e gridando parole blasfeme e sacrileghe”. Pare che siano concubine del demonio e sfreghino le loro pudenda su bastoni maledetti. Un rogo già brucia nella piazza rossa.
Altre brevi. La chiesa ortodossa russa fa la pace con la Polonia che, nel dubbio, rilancia sullo scudo spaziale. Il presidente della repubblica Komorowski ha infatti avanzato l’ipotesi di uno scudo “tutto polacco”. Come a dire, contro Dio basto io ma contro Putin no. Quando il peperone brucia…
[ad]Nel giorno dell’Aid al Fitr, la fine del Ramadan, due attentati hanno colpito le regioni del Daghestan e dell’Inguscezia, repubbliche russe a maggioranza musulmana. Almeno sei poliziotti sono stati uccisi da un kamikaze che si è fatto saltare in aria durante un funerale di due agenti, uccisi nel distretto di Malgobek, nel nord dell’Inguscezia. Il Caucaso continua a dare fuoco alle polveri, mentre le olimpiadi invernali di Sochi, località russa ai piedi del Caucaso, si avvicinano. Quando il tedoforo è un mujaheddin, il fuoco di Olimpia scotta.
Infine come non parlare de “la crisi“, kolossal da mille miliardi prodotto dalle principali istituzioni finanziare globali. Protagonisti gli Stati democratici, la cui fine sembra decretata. Riusciranno i nostri eroi a salvarlo? Sul Corsera leggo del solito tira e molla tra Grecia e Germania, l’una che cerca dilazioni, l’altra che impone tempi e misure. Né l’articolista né il commentatore offrono chiavi di lettura. Sarà che il nostro Paese sta lì, a metà strada, ed è bene non prendere posizione. Dalle colonne de La Repubblica apprendo che il premier italiano Monti, davanti alla platea di comunella e liberatutti a Rimini, ha affermato di vedere l’uscita dal tunnel. Chissà perché non mi sento comunque tranquillo. Sarà che lo stipendio continua a non arrivare da mesi, o che Jan Palach è venuto a trovarmi in sogno: “Si chiamava Angelo di Carlo, cinquantaquattro anni, originario di Roma e residente a Forlì, l’uomo che l’11 agosto si era dato fuoco davanti a Montecitorio per protesta contro precarietà e disoccupazione”. Fredde righe de La Stampa mentre il nostro silenzio comincia a bruciare.
di Matteo Zola