Abbiamo analizzato nella puntata precedente le cause sistematiche della crisi globale, riverberatasi sulle carenze strutturali dell’euro e i difetti accumulati dall’economia italiana. Oggi daremo un rapido sguardo ad alcune proposte, che potrebbero rivelarsi preziose per il ritorno della sinistra al governo:
- [ad]Per quanto riguarda il breve periodo è indispensabile che i tassi d’interesse dei paesi in difficoltà siano abbattuti attraverso un intervento della BCE. Ma questo, se è condizione necessaria per l’uscita dalla crisi, non è però sufficiente. Qui sta un importante punto di distanza con il governo Monti. L’idea che un abbassamento degli spread, accompagnato da “riforme” che consistono essenzialmente in tagli sia sufficiente a uscire dalla crisi è sbagliata e fuorviante. Anzi, se l’intervento della BCE per la riduzione degli spread ha come contropartita la necessità di nuovi tagli, non è solo inutile, ma anche controproducente. Effettuare una politica di riduzione della spesa in recessione è il miglior modo per aggravarla esponenzialmente. Nel caso non ci sia l’accordo su un intervento della BCE a tali condizioni non sarebbe da escludere un riscadenzamento del debito, che fornisca il tempo per i necessari interventi a sostegno della crescita, che possano restituire fiducia nelle prospettive del nostro paese.
- Per uscire dalla crisi è necessario riattivare la crescita e l’unico modo realistico per farlo è un programma di investimenti. Bisogna uscire dalla fobia isterica del “non si può risolvere il problema del debito con altro debito”. Non tutto il debito è uguale. Gli sprechi e la spesa pubblica improduttiva sono lontani mille miglia dagli investimenti strategici. Le risorse possono essere trovate, in mancanza di altre fonti, attingendo alla vasta disponibilità della Cassa Depositi e Prestiti. Queste risorse dovrebbero essere impiegate per permettere un rientro dell’intervento statale nell’attività economica in maniera selettiva e strategica. Si tratta di scegliere alcune linee di sviluppo sulle quali si intende concentrare il rilancio dell’economia italiana e sostenerle con interventi adeguati.
- Il fatto che nell’immediato non sia opportuno ridurre la spesa pubblica non significa che essa vada bene così com’è anzi. Se per quanto riguarda la quantità complessiva della spesa l’Italia è assolutamente in linea con gli altri paesi europei (anzi, spesso spende di meno) la sua ripartizione è molto insoddisfacente. Si tratta allora di riqualificarla tagliando gli sprechi e finanziando maggiormente settori molto bisognosi e strategici per il futuro del paese, come l’istruzione e la ricerca.
- E’ “di sinistra” anche abbassare la tassazione sul lavoro e sulle imprese, facendone gravare invece maggiormente il peso sulla rendita e sui grandi patrimoni. Un ridisegno del sistema fiscale del genere non starebbe improntato solo a maggiore equità, ma sarebbe anche fondamentale per la crescita del paese.
- Bisognerebbe predisporre un sistema di incentivi e strutturare la tassazione in direzione della risoluzione di un altro dei problemi storici del nostro sistema produttivo: l’eccessiva prevalenza di imprese di dimensione troppo ridotta, con limitata capacità di investimento e di posizionamento su produzioni di alto valore aggiunto. Salvo eccezioni, c’è la tendenza dell’Italia a posizionarsi, nella divisione internazionale del lavoro, in una posizione medio-bassa, a fare da subfornitore della Germania per le lavorazioni intermedie, specializzandosi così su produzioni di basso valore aggiunto. Tutto questo ha una serie di conseguenze a cascata sul nostro paese: fa sì che molti dei laureati altamente formati che pure continuano a uscire dalla nostra università debbano andare all’estero, in quanto il nostro sistema produttivo non è in grado di assorbirli. Spinge verso una concorrenza salariale al ribasso che impoverisce la maggioranza della popolazione. Si tratterebbe di interrompere questa spirale puntando nuovamente su settori avanzati e incentivare un sostanziale incremento dimensionale delle imprese, come già si tentò di fare in passato con il tentativo della “dual income tax”.
- A lungo termine è necessario operare per una riforma della governance economica dell’Unione europea. Con questo non va assolutamente inteso ciò a cui pensa la Merkel, ovvero un semplice sistema di “controllo dei conti pubblici”, quanto principalmente un meccanismo che tenda a favorire la parità della bilance commerciali e tenda a scoraggiare pratiche di dumping commerciale e fiscale. Le tassazioni all’interno della zona euro dovrebbero essere sostanzialmente armonizzate in modo da scoraggiare delocalizzazioni a scopo fiscale che inneschino una concorrenza al ribasso tra Stati dell’Unione, con conseguente riduzione del welfare e delle garanzie. L’idea di andare verso una politica unica europea non può essere separata da una riforma della BCE, all’interno della quale la facoltà di acquistare titoli di stato è solo la condizione minima, ma al cui centro starebbe la coordinazione tra politica monetaria e politica fiscale.
Solo misure di questo tipo sono in grado, a lungo termine, di garantire la sopravvivenza dell’Euro. Se non sarà possibile creare un consenso su queste misure bisognerà porsi il problema di un piano B da attuare nel caso l’euro non dovesse tenere.
(continua)