Il dilemma del cardinal Martini
La morte del cardinale Carlo Maria Martini, per oltre un ventennio arcivescovo della curia più grande d’Italia nonché autorevole esponente del mondo della Chiesa cattolica, ha portato a lunghi dibattiti sia sul tema della predicazione religiosa sia sulle diverse anime della Chiesa Romana che addirittura, secondo indiscrezioni, avrebbero indicato proprio in Martini nel corso dell’ultimo conclave come informale capofila della componente “progressista”.
[ad]Molti giornali, soprattutto tra quelli che non hanno un background “religioso” ma anzi “materialista”, hanno indicato in Martini come la “faccia positiva della Chiesa” contro conservatorismi religiosi che anziché avvicinarsi, restando il più possibili “fedeli alla linea”, agli insegnamenti del Vangelo rendevano la Chiesa sempre più distante dal prossimo, dagli umili e vicina ai torbidi intrighi del potere.
Una testimonianza di questo approccio più che legittimo e giustificato viene per esempio da Massimo Cacciari che a “Repubblica” parlando del cardinale scomparso ha evidenziato come un movimento come Comunione e Liberazione sia quanto mai distante dall’approccio sinceramente umile e cristiano del cardinal Martini.
Del resto se il mese di agosto è stato contrassegnato da una polemica tra Famiglia Cristiana e Cl rea di piegarsi a prescindere di fronte al potente di turno vuol dire che il tema delle due concezioni della chiesa, quella più attaccata al potere e quella più vicina agli umili, è una dicotomia da sempre presente nella storia del cristianesimo e in quella degli ordini religiosi. Ed è del resto un tema spinoso e fonte d’attrito che ha portato a scismi e ad ondate riformatrici.
In questa sede non si vuole avere la presunzione di avere ad una verità su quale delle due chiese sia quella da definire più autenticamente cristiana e vicina al messaggio originario. Anche perché probabilmente la persona che scrive non è la più adatta per risolvere controversie di questo tipo.
Nonostante tutto le reazioni e il dibattito che si è delineato a seguito della morte del cardinale Martini può aprire un dibattito sul ruolo che la Chiesa ha nella società di oggi e sulle differenti reazioni che può avere nel rapportarsi con le altre entità.
Si dice spesso che base dottrinaria della riforma protestante, che esula da quello più propriamente “politico” legata allo sdegno di Lutero nei confronti della Chiesa di Roma e del suo atteggiamento, sia l’approccio agostiniano che si è tramutato poi nei paesi riformati nella teoria della predestinazione. Quella stessa identica teoria che ebbe un risvolto sociologico e politico nell’opera principale di Max Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”.
E’ una base, quella della predestinazione dal ceppo agostiniano, quanto mai in contrasto con la teoria del libero arbitrio che ebbe in san Tommaso d’Aquino il principale sostenitore.
Da qui una demarcazione tra i paesi protestanti e quelli cattolici. Da qui addirittura, e qui rispunta fuori Weber, una lettura sul perché i paesi protestanti siano più sviluppati economicamente di quelli cattolici. La predestinazione che spinge al lavoro o alla “fatica” come si direbbe qui in Italia e che proprio attraverso a questa attività riesce a far capire quale potrebbe essere il destino ultraterreno dell’uomo. Diverso invece il libero arbitrio che delega agli uomini e solo agli uomini la loro condotta terrena. Che ovviamente non può non avere ripercussioni anche nella loro collocazione ultra-terrena.
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