Il dilemma del cardinal Martini
[ad]Tesi economicista che alcuni hanno cercato di smentire (tra cui Amintore Fanfani in uno scritto che fece infatuare John Fitzgerald Kennedy, cattolico di ceppo irlandese e grande fan dell’aretino) secondo cui il capitalismo in Germania doveva considerarsi già sviluppato ai tempi della prima fase della riforma protestante. Di conseguenza al tema economico non poteva esserci alla base una motivazione di carattere religioso.
Questi due approcci, predestinazione e libero arbitrio, spingono ad un diverso approccio alla vita terrena. E non è un caso che una sovrana illuminata come Cristina di Svezia fosse disposta a rinunciare al trono pur del “sole” di Roma rispetto al grigio nuvolare dei paesi nordici.
Una strana dicotomia secondo cui dunque da una parte si è più ricchi ma dall’altra ci si compensa con maggior felicità (e un clima più propizio).
Ma non solo. Qui sorge il dilemma. Tra i due ceppi vi sarebbe anche una divergenza sul formale e sul sostanziale: le chiesa riformata sarebbe più attenta alla sostanza delle cose tanto che, per esempio, il rapporto con Dio è solo veicolato attraverso un pastore ma è comunque vicenda legata al singolo fedele. Sul fronte cattolico invece si preferisce la formalità. Da qui la difesa di una struttura complessa come la Chiesa e volendo il fatto che in Italia e nei paesi cattolici vi è una legislazione più arretrata sul fronte dei diritti civili.
Ma ciò non toglie che dietro la patina della forma si nasconda tutt’altra sostanza, sconosciuta perlopiù ai paesi nordici. Da qui un diverso approccio etico che per esempio, sul piano politico, spinge gli italiani ad essere molto più indulgenti nei confronti di soprusi o semplici marachelle da parte del personale politico. Mentre in Germania, se non paghi i contributi alla colf, devi senz’altro dimetterti dal Bundenstag.
Ma perché la Chiesa tanto attenta alla forma disperde il suo lato sostanziale? Forse proprio perché essendo struttura complessa e accentrata ha bisogno di sponde e di manovre tattiche per sopravvivere o espandere la propria influenza. Da qui anche amicizie che in nome della “realpolitik” vengono strette pur non essendo del tutto a norma con alcuni impianti valoriale di impronta cristiana.
E in questo breve ragionamento sta il dilemma legato al cardinal Martini: ad una Chiesa così strutturalmente legata all’aspetto formale (non per l’attuale gestione papale, ma per motivi di carattere ormai secolare) un personaggio così “controcorrente”, così attento alle dinamiche del cristianesimo all’origine e proprio per questo consapevole che se il mondo cambia deve cambiare la risposta (vedi il caso dell’accanimento, dove Martini ribalta del tutto ottica rispetto a quella della Curia evidenziando come con la sua rinuncia non si uccida una persona ma si prenda semplicemente atto dell’inevitabilità della morte) è realmente rappresentativo della Chiesa di Roma pur essendo stato tra i suoi più autorevoli cardinali oppure semplicemente rischia di essere il maggiore esponente di chi sogna una cristianità diversa, un differente stato delle cose rassegnandosi per sempre di poter incidere culturalmente nel cambiamento al suo interno?