Romney vicino al sorpasso nella battaglia per i finanziamenti

Un sostanziale pareggio anche nella raccolta dei contributi elettorali. Le presidenziali, in un sistema poco avvezzo al finanziamento pubblico, diventano ben presto competizione di denaro. Così, in America una forma empirica piuttosto affidabile per valutare il consenso di una causa politica consiste nell’andare a guardare quanto il cittadino-elettore attivo sia stato disposto a sborsare per sostenerla. E le due cause presidenziali, quella del presidente Barack Obama e dello sfidante Mitt Romney sembrano raccogliere eguale stima.

La rivelazione che questa campagna, come segnalato del resto in un’intervista concessa al Termometro Politico dal politologo Larry Sabato, è molto più in bilico rispetto a 4 anni fa. Nel 2008 ancor prima di aprire le urne o prendere sotto mano un sondaggio si poteva così scorgere una forbice sempre più divaricata in termini finanziari a favore del comitato elettorale di Barack Obama, che fra media ed elettori aveva lasciato in ombra John McCain.

Compare Candidates

Candidates

(millions of dollars)

All Candidates

1.681,5

Democrats

1.075,7

Obama (D)

747,8

Republicans

605,8

McCain (R)

351,5

Clinton (D)

223,9

Romney (R)

105,2

Giuliani (R)

59,0

Edwards (D)

48,7

Paul (R)

34,5

Thompson, F (R)

23,4

Richardson (D)

22,4

Huckabee (R)

16,1

Dodd (D)

14,9

Biden (D)

11,9

Tancredo (R)

6,3

Kucinich (D)

5,5

Brownback (R)

4,2

Hunter (R)

2,9

Thompson, T (R)

1,2

Cox (R)

1,1

Gravel (D)

0,6

Gilmore (R)

0,4

 

[ad]Le proporzioni erano imbarazzanti. I democratici raccolsero per l’intera campagna 1 miliardo di dollari, i repubblicani 605 milioni. Il totale di 1,681 miliardi di dollari fu un record assoluto per una campagna elettorale. Va ricordato che a favore della maxi raccolta di contributi soffiarono molti venti: il rinnovamento della promessa dell’autorealizzazione americana incarnata dal messianico Obama, la concorrenza di una leader naturale dei democrats quale Hillary Clinton e la contestuale assenza fra i repubblicani – partito che deteneva la presidenza – della candidatura del vice-presidente in carica (troppo controverso era Dick Cheney).

Il sentimento generale e bipartisan di change è venuto meno. Le promesse fanno ancora parte dell’ossatura di ogni propaganda elettorale, ma il sogno che rapisce l’interesse e la speranza di milioni di americani quello è svanito.

Nel 2012 i contributi ricevuti dai democratici – almeno nel conteggio parziale fornito dalla Federal Election Commission – sono scesi drasticamente a 348 milioni di dollari, finiti ovviamente nelle casse del comitato elettorale del presidente in carica. Al 31 luglio, invece, i repubblicani che hanno avuto un traino nella spesa dettato dalle primarie sono riusciti a mettere insieme 340 milioni di dollari.

Compare Candidates

Candidates

(millions of dollars)

All Candidates

690,6

Democrats

348,4

Obama (D)

348,4

Republicans

340,0

Romney (R)

193,0

Paul (R)

40,6

Gingrich (R)

23,3

Santorum (R)

22,3

Perry (R)

19,7

Cain (R)

16,3

Bachmann (R)

10,3

Huntsman (R)

8,8

Pawlenty (R)

5,2

Johnson (L)

1,5

Roemer (O)

0,7

McCotter (R)

0,5

 

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[ad]Romney riesce, quindi, ad agganciare contestualmente l’inquilino della Casa Bianca nei sondaggi d’opinione e nei finanziamenti. Da un trimestre Romney raccoglie persino più donazioni. Ma come già osservato nel trend dei consensi elettorali Obama conserva un leggero vantaggio strategico, almeno nella liquidità. Al 31 luglio secondo i dati della Federal Commission il democrat aveva 87 milioni di dollari di liquidità contro i 33 milioni che il Gop aveva a disposizione per il suo beniamino.

Un fedele specchio della realtà elettorale è anche la suddivisione dei contributi per dimensione. La campagna di Obama è ancora in larga parte tributaria dei piccoli versamenti, quelli inferiori a 200 euro. Romney deve ringraziare principalmente gli elettori più facoltosi che staccano individualmente un assegno superiore ai 2.000 dollari, facendo il pieno in Texas, nel suo Masachusetts e in Florida, lo stato chiave per eccellenza per vincere le presidenziali.