“Millioraire’s tax cut”. Tre parole che più di altre segnano il discorso con cui Obama ha accettato la candidatura dei Democratici alla Casa Bianca. Tre parole che dimostrano come, negli Stati Uniti, la politica economica non sia affatto “indifferente”, uguale per entrambi gli schieramenti. Tutt’altro. Quel “Millionaire’s tax cut” è stato un continuo riferimento a due modi antitetici di vedere il futuro del Paese. Se per il suo sfidante, il Repubblicano Mitt Romney, la predilezione verso i grandi patrimoni dovrebbe essere qualcosa di innato nel popolo americano, che “celebra il successo, non se ne vergogna”, per Barack Obama il sogno americano è l’aver realizzato la più grande classe media del mondo. E non è per tagliare le tasse ai milionari che l’impoverirà.
[ad]Un bel discorso, ispirato e mai patetico – se non nelle conclusioni, quello pronunciato dal Presidente Usa, l’uomo che quattro anni fa diede all’America ed al mondo intero una forte carica di speranza, ma che poi nei quattro anni a seguire ha dovuto fronteggiare la crisi peggiore dal 1929 e la maggioranza repubblicana al Congresso. Se la presidenza Obama ha bisogno di alibi, per non aver “cambiato il mondo”, queste due lo sono, ma non sono state utilizzate durante il discorso di accettazione del Presidente Obama.
Un discorso che ha toccato tanti punti, partendo, come piace agli americani, dalla storia personale del presidente. Ha ricordato la sua presenza alla convention otto anni prima, ha ricordato i nonni, che “hanno creduto” nel sogno americano, si sono sentiti parte di esso. Ora i problemi che si pongono davanti agli americani sono enormi, e non si risolveranno in pochi anni: Obama chiede tempo, ammette la difficoltà del proprio percorso futuro, ma disegna un percorso di inclusione di quanti più cittadini possibile nel futuro degli Stati Uniti, e promette che quel futuro sarà migliore. A chi promette dodici milioni di posti di lavoro, e lo attacca per non aver esperienza di imprenditore, ribatte parlando con orgoglio dei contratti siglati con “businessman” per salvare il settore dell’automobile – “che viene prodotta qui […] perché lavoriamo meglio”.
Se Romney annunciava tra i suoi cinque punti programmatici un sostanziale “liberi tutti” per le trivellazioni, Obama ribatte affermando l’importanza delle energie rinnovabili, l’abbattimento della CO2 e l’apertura di milioni di posti di lavoro grazie alla green economy. Se Romney rilanciava le scuole private, Obama annuncia un taglio del 50% dei costi del college, e l’assunzione di centomila insegnanti di matematica e scienze in dieci anni, per fare in modo che le imprese americane “non siano più costrette a guardare al di fuori dei confini perché non trovano nessuno con le skill giuste in patria”.
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[ad]Sulla politica estera, dopo un omaggio e la promessa di non lasciare soli i soldati che hanno reso più sicura l’America, ha avuto gioco facile sullo sfidante: “non dire che la Russia è il nostro nemico pubblico numero 1, a meno che tu non sia fermo alla guerra fredda”, “forse non sei pronto per la diplomazia cinese, se non riesci ad andare alle Olimpiadi senza offendere il nostro migliore alleato”. È una rivincita, nei confronti del discorso dello sfidante McCain, veterano che quattro anni fa lo definì impreparato in politica estera: Obama, oltre a prendere in giro il suo rivale, vanta di aver migliorato i rapporti con gli alleati e di averne creati di nuovi, quando il suo predecessore aveva generato un certo astio nei confronti degli Usa nelle società civili di molti suoi alleati.
Dalla difesa della riforma sanitaria, trae spunto l’enunciazione del “sogno americano” secondo Obama: “noi crediamo nella responabilità personale e celebriamo i successi individuali”, ma “noi crediamo anche in qualcosa chiamato cittadinanza”, “una parola nel profondo del cuore dei nostri fondatori”, “della nostra democrazia”. Non un’idea da “socialisti”, perché, parafrasando Ford, “noi crediamo che quando un CEO paga abbastanza i lavoratori per comprarsi l’automobile che producono, l’intera azienda ne beneficia”.
Il richiamo all’importanza della scelta in queste elezioni è costante per tutto il discorso presidenziale, e non può quindi mancare la citazione kennediana “l’America è quello che noi facciamo, tutti insieme”.