Il finale segreto di Picnic ad Hanging Rock
Il libro “Picnic ad Hanging Rock”, da cui è trattato il classico film di Peter Weir, aveva un finale, che fu rivelato solo dopo la morte dell’autrice, l’australiana Joan Lindsay, ma mai pubblicato in Italia.
Tempo fa vivevo in Australia. Un piccolo errore di valutazione nei miei rapporti con l’ufficio risorse umane. E così, invece che a Berlino, mi ritrovai a Canberra. Per chi ha il mito dell’Australia, delle Vie dei canti di Chatwin, della barriera corallina e della baia di Sydney, è sufficiente sapere che Canberra è la città più bianca ed artificiale del paese. Il perfetto scenario per chi voglia capire il senso del romanzo “Picnic ad Hanging Rock”.
Non si riflette mai abbastanza sul fatto che l’Australia è l’ammasso di terra e sabbia più stabile del pianeta. Niente vulcani, niente terremoti, niente montagne che crescono lentamente per effetto di scontri titanici tra le placche continentali. I giorni si ripetono in un’apparente staticità. Le Alpi australiane sono delle morbide colline, l’interno è un’immensa tavola desertica, e anche le zone più temperate sono vaste piane popolate di eucalipti grigi e immobili come soldati pietrificati, dove vivono animali soprattutto notturni. Una natura, più che ostile, indifferente, periodicamente sconvolta quando piove (se piove) e dai violentissimi incendi che inghiottono in montagne di fuoco il bush e anche le città di cartapesta.
[ad]Gli aborigeni hanno vissuto e cantato in questi luoghi per quarantamila anni. Da duecento anni appena, una sottile patina bianca ricopre come il Vinavil il cuore rosso del continente. I discendenti dei colonizzatori sembrano insignificanti creature aggrappate a città provvisorie, disperati nella loro pretesa di restare inglesi, con il cricket, la birra e la regina, per non essere assorbiti dall’Australia. Dopo quattro anni laggiù sono giunto alla preoccupante conclusione che prima o poi il continente risputerà indietro i bianchi e che resteranno solo gli aborigeni.
Tutti questi preliminari per parlare di un libro, Picnic a Hanging Rock, romanzo del 1967 della scrittrice australiana Joan Lindsay, e del film omonimo del 1975 di Peter Weir. E per parlare di un libretto, oggi introvabile, dove è contenuto il finale originale immaginato dalla Lindsay, che trovai per caso in una biblioteca pubblica di Canberra. Sì, perché Joan Lindsay scrisse un finale, ma d’accordo con il suo editore, decise di rimuoverlo e di tenerlo segreto fino alla morte, avvenuta nel 1984.
Il libretto, sotto il titolo “The Secret of Hanging Rock”, venne pubblicato da Angus & Robertson nel 1987 (ISBN 0 207 15550 X) ed è attualmente fuori commercio. Se ne trovano alcune copie usate su Amazon, vendute a caro prezzo. Per qualche mistero doloroso di cui è titolare la Sellerio, casa editrice del Picnic, il libretto non è mai apparso in Italia.
Picnic ad Hanging Rock è superficialmente un giallo, ma in realtà va a toccare il tema della faticosa convivenza degli uomini bianchi con i ritmi profondi di una terra antica e inconoscibile da una mente positivista. L’incedere ripetitivo degli orologi contro i canti aborigeni. Una morale meccanica ed innaturale contro una sensibilità primitiva. Il romanzo cerca di esprimere qualcosa che non trova semplici parole per essere raccontato: le rocce silenti con le bocche spalancate della Rocca, sconvolta da lontanissimi cataclismi. Addormentate ma vigili. Impegnate in lentissime considerazioni che sfuggono alle preoccupazioni dei colonizzatori, con le loro fissazioni vittoriane, ma pronte ad entrare in sintonia proprio con quelle creature, le ragazze, più ferocemente ingabbiate in schemi inflessibili nel momento della loro massima esuberanza giovanile.
Come ricorderanno i fan, Hanging Rock inizia il giorno di San Valentino del 1900, una caldissima giornata d’estate australiana. Le alunne del severissimo Appleyard College sono autorizzate a trascorrere la giornata in una gita alla Hanging Rock, una piccola asperità a una cinquantina di chilometri da Melbourne che, per quanto modesta, s’innalza sopra la monotona campagna del Victoria nei pressi del Mount Macedon. Modesta ma non meno preoccupante, soprattutto in una rovente giornata d’estate.
(per continuare la lettura cliccare su “2”)