Kosovo: dall’indipendenza alla sovranità, è il momento di fare sul serio
Un’economia tutta da inventare
[ad]La piena indipendenza deve far da sprone verso un miglioramento delle condizioni economiche del paese, che come accennato all’inizio, non è in grado di sopravvivere senza contributi internazionali. I cittadini del Kosovo rimangono i più poveri d’Europa, con un reddito annuo medio procapite di tra i 2000 e i 3000 euro e un tasso di disoccupazione intorno al 45% (dal The World Factbook della CIA), dato allarmante di per sé e aggravato dalle ovvie conseguenze in termini di criminalità, corruzione e tendenza a lasciare il paese. Come in altri paesi dove la disoccupazione è così alta sono consistenti le cosiddette “economia grigia” e quella nera, fatte di pagamenti dichiarati solo in parte al fisco o del tutto sommersi, che da un lato sono vitali per molte persone, dall’altro non contribuiscono al bilanciamento economico.
I livelli di import/export sono i più bassi di questa parte d’Europa, con una bilancia commerciale in pesante deficit (45% del PIL nel 2011), ri-finanzianziabile solo utilizzando aiuti internazionali. Le entrate del bilancio della repubblica dipendono dalle importazioni, grazie alle tariffe imposte alla frontiera, anche perché con redditi tanto bassi le tasse sulla popolazione non possono garantire grandi introiti.
La presenza della maggioranza serba ha come effetto anche la mancanza di unità monetaria: la valuta ufficiale del Kosovo è l’Euro (che consente un certo controllo dell’inflazione), ma di fatto il dinaro serbo è in vigore in tutte le zone dove è questa componente etnica a prevalere.
Circa il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, quindi con circa 1,42 € al giorno, e il 17% sopravvive in povertà estrema. Le pensioni variano tra i 45 e gli 85 euro mensili, mentre la protezione sociale lascia all’asciutto una percentuale alta delle persone indigenti. Importante anche considerare un’altra peculiarità della piccola repubblica mediterranea: la sua popolazione è la più giovane d’Europa.
Gli aiuti internazionali
Le riforme sociali ed economiche avviate nel 2008 sono state possibili solo grazie a un aiuto congiunto da parte di 37 paesi e 16 organizzazioni internazionali, per un totale di 1,9 miliardi di dollari. (Dei complessivi 500 milioni di euro dell’aiuto finanziario proveniente dall’Ue, circa 150 furono stanziati per l’assistenza macro-economica, i restanti erano già previsti e provenivano dal fondo pre-adesione dell’Unione europea). L’aiuto degli Stati Uniti – che hanno tutto l’interesse a essere legati al Kosovo, se non altro per la sua posizione strategica sulla mappa petrolifera mondiale – è stato necessario anche per migliorare livello di fornitura dell’energia elettrica, una delle insufficienze croniche di questo territorio dove la popolazione risiede in larga parte nelle zone rurali. Su questo piano è recente la notizia di un possibile accordo con l’Albania sulla creazione di un mercato unico dell’energia, che sfrutti la ricchezza di lignite del Kosovo e le risorse idriche albanesi. Le questioni da valutare sarebbero ancora molte, basti pensare che i contingenti stranieri contribuiscono a una fetta non proprio irrilevante dell’economia kosovara e che il loro smantellamento può ripercuotersi su di essa. Per non parlare del vero “cancro” di questo paese, la mafia kosovara. Non ultima, la questione politica, con uno dei vicepremier indagato per corruzione (insieme ad altri 10 funzionari pubblici) e un primo ministro accusato più volte (traffico d’armi e di organi). Insomma, c’è proprio da augurarsi che abbia ragione quest’ultimo: che oggi per il Kosovo sia l’inizio di una nuova era.
Per approfondimenti, rimando a un ampio articolo di Roberto Bastianelli su East Journal.
*Il gruppo è composto da un insieme di stati favorevoli all’indipendenza kosovara, da Germania, Francia, Regno Unito, Irlanda, Benelux, Italia e Svizzera fino agli Stati Uniti, passando per Polonia, Austria, Bulgaria, Ungheria, Slovenia, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Norvegia, Svezia,Repubbliche Baltiche e Finlandia, per finire con la Turchia.
di Claudia Leporatti