“Per gestire i suoi problemi interni, l’Ungheria non avrebbe bisogno di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale” dichiara Viktor Orbán, chiamato dalla Commissione Europea a esprimersi sulla relazione presentata dai delegati dell’FMI e dell’Ue, un monitoraggio della condizione economica secondo il quale il paese al momento non necessita di liquidità, ma di un accordo precauzionale. “Possiamo farcela da soli” rafforza Orbán. Viene da immaginarsi il paese che trema, prospettandosi l’isolamento, ma il primo ministro prosegue subito: “La linea di credito d’emergenza serve a causa delle difficoltà dell’Unione Europea“. In altre parole il premier conservatore non ammette di aver bisogno del rinnovo della linea di credito erogata dal Fondo Monetario, ma la vuole lo stesso. “Non possiamo andare avanti, perché la crisi dell’Eurozona ci sta trascinando giù.” Conclude infischiandone come altre volte del fatto che anche l’Ungheria fa parte di quell’area geopolitica in crisi, anche se non ne ha ancora potuto adottare la moneta.
[ad]L’accordo, si farà dunque, ma alle sue condizioni, che dovranno differire da quelle stabilite nel 2008, quando solo l’azione congiunta di FMI e UE seppe dare speranza all’economia magiara, a un passo dal restare schiacciata dalla bolla dei mutui. Scatta in automatico la polemica contro il precendente governo, quello socialista del MSzP, che all’epoca “ha firmato tranquillamente un cattivo accordo e detto alla gente che a pagarne il prezzo sarebbero stati loro”. Il riferimento è alle norme di austerità varate a fine 2008 per sanare il bilancio dello stato e tentare di adattare il deficit agli standard di Maastricht (il pacchetto includeva l’imposizione di un ticket sulla sanità, l’aumento dei contributi a carico delle imprese, l’aumento dell’IVA, la riduzione dei casi di esenzione, oltre a introdurre o aumentare diverse imposte, tra cui quella di solidarietà e quella per le banche).
Lo sciopero della fame contro la legge elettorale
A proposito dell’ex governo MSzP, domenica l’ex primo ministro Fercenc Gyurcsány ha montato quattro tende davanti al parlamento e dato inizio a una settimana di sciopero della fame denominata “Sette giorni per libere elezioni“. Nel mirino del politico di sinistra c’è la bozza di riforma del sistema elettorale confezionata dall’esecutivo, che prevede l’introduzione di una registrazione anticipata per gli elettori, da effettuare fino a due settimane prima del giorno delle elezioni. Secondo Gyurcsány in questo modo si riduce di molto il numero delle persone che andranno a votare, complicando le procedure.
Fidesz sostiene al contrario di procedere con l’obiettivo di agevolare il voto per gli ungheresi residenti all’estero e per le minoranze etniche che vivono in Ungheria, ma evita di spiegare meglio quali vantaggi saranno portati in questo senso. Alla dimostrazione partecipano anche i due vice presidenti del partito di Gyurcsány, Péter Niedermüller e Csaba Molnár, e il deputato István Kolber. “I momenti drammatici richiedono reazioni drastiche, gesti politici forti per mobilitare i votanti più apatici” ha dichiarato l’ex presidente. “Nell’attuale opposizione democratica, nessuno è in grado di battere Orbán alle urne, nel 2014, è il momento di rendersene conto e di attivarsi” ha aggiunto. In agenda per il 15 settembre una manifestazione di fronte alla fiamma eterna in Batthyány Tér, la piazza che, da Buda, si affaccia verso il Parlamento.
di Claudia Leporatti