Dopo lunghi anni di accuse, congetture, dichiarazioni più o meno ufficiose e relazioni faziose è finalmente arrivata la conferma dalla bocca di Putin in persona, la Russia già nel 2007 aveva pronto il piano per l’invasione della Georgia. Nel 2008 ci fu un brevissima ma sanguinosa guerra tra Russia e Georgia che ha portato all’annessione alla Russia della regione autonoma dell’Ossezia del sud. La Georgia con il suo presidente Saakashvili ha sempre considerato questa guerra come un’invasione immotivata da parte della Russia che invece la considera solo una risposta all’aggressione portata avanti dalla Georgia.
[ad]Saakashvili ha pure arruolato Hollywood e star del calibro di Andy Garcia, Sharon Stone e Val Kilmer per la realizzazione di un film, intitolato “Five Days of War”, che portasse avanti le tesi pro-Georgia del presidente. Putin non è rimasto a guardare e ha immediatamente fatto realizzare un film che sostenesse la sua visione del conflitto. I rapporti tra Saakashvili e Putin non sono sempre stati così tesi (ricordiamo che ogni rapporto diplomatico e in parte commerciale è stato interrotto dopo la guerra), appena preso il potere dopo una incruenta rivoluzione, sostenuta e finanziata dagli Stati Uniti, nel 2003 si è affrettato a normalizzare i rapporti con l’ingombrante vicino.
Ci sono stati pure dei colloqui più o meno cordiali a Mosca tra Saakashvili e l’allora, nonché attuale, presidente Putin. L’obiettivo iniziale di Saakashvili fu quello di rialzare un Paese lacerato dalla crisi e dalle divisioni interne. Il primo passo del nuovo presidente fu quello di riunire la Georgia ormai divisa in regioni autonome ed aree semi indipendenti sotto l’influenza della Russia. Per prima cosa riportò sotto il suo controllo la regione dell’Adjara che era diventata regione de facto indipendente governata da un capoccia locale sostenuto dalla Russia che sperava nell’aiuto, che mai arrivò, di Putin.
Gli altri obiettivi di Saakashvili erano riportare sotto il controllo georgiano le ulteriori regioni autonome della Georgia, l’Abkhazia e l’Ossezia del sud. Questi due territori erano stati occupati dalla Russia nel 1992-1993, ma se nell’Abkhazia si era perpetrata una pulizia etnica nei confronti dei georgiani, in Ossezia del sud la situazione era diversa. Questo era un territorio in cui abitavano russi, osseti e georgiani in villaggi separati e l’autorità russa non si faceva sentire tanto che tutta la zona si trovava in una situazione di semianarchia. Saakashvili per rientrare in possesso di queste zone aveva lanciato delle trattative che all’inizio avevano fatto ben sperare, o forse erano solo l’ennesimo gioco di specchi portato avanti dalla coppia Medveved-Putin. Se l’Abkhazia era formalmente, anche se illegalmente, sotto il controllo russo, l’Ossezia del Sud era una terra di nessuno su cui vigilavano alcuni soldati “di pace” russi.
La zona era diventata uno dei centri del commercio nero di tutto il Caucaso, con traffici di ogni tipo, comprese armi e droga. Saakashvili con la scusa di arginare il fenomeno, e con l’assenso di Putin stesso, ha portato le truppe georgiane all’interno del territorio osseto e dopo una breve campagna, ad obiettivo raggiunto, si sono ritirate. L’idea di rientrare in possesso delle zone occupate dalla Russia è sempre stato il pallino di Saakashvili che in ogni comizio assicurava la popolazione che entro poco tempo avrebbe portato a termine questo compito. Dopo anni di colloqui senza risultati, con scaramucce ai confini, ci fu un’escalation di violenza. La popolazione georgiana era stanca non solo delle promesse mai mantenute di Saakashvili ma anche dei continui lanci di missili sui villaggi georgiani dell’Ossezia che comunque hanno sempre causato danni irrilevanti, ma che avevano l’obiettivo di irritare il governo centrale georgiano e spingerlo a fare il primo passo che rappresentasse quel casus belli tanto atteso dalla Russia per mettere in pratica quel famoso piano di invasione che si trovava nel cassetto del Cremlino da più di un anno.
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[ad]Saakahsvili sperava in un appoggio americano che non c’è stato, giravano poi notizie sul disinteressamento della Russia dell’Ossezia, cosa che avrebbe reso possibile una riacquisizione georgiana della zona. Già settimane prima dell’attacco georgiano, le truppe russe si esercitavano in Ossezia, in quelle stesse aree che sarebbero state il futuro campo di battaglia facendo intuire che i russi fossero già a conoscenza del piano georgiano. La notte tra il 7 e l’8 agosto del 2008 le truppe georgiane partono alla volta di Tskhinvali, capoluogo dell’Ossezia del Sud, che riescono ad occupare in breve tempo grazie ad un fitto bombardamento. I russi non aspettavano altro, immediatamente attaccarono le truppe georgiane in Ossezia e bombardarono anche zone strategiche all’interno del territorio georgiano. Contemporaneamente i soldati russi avanzano anche in Abkhazia dove, senza sparare un colpo visto l’immediata resa delle truppe georgiane, arrivano fino a Poti, città portuale del Samegrelo, quindi all’interno della Georgia. In 5 giorni la guerra si conclude e grazie all’intervento americano ed europeo i russi non proseguono la loro avanzata limitandosi ad estendere il loro controllo su Abkhazia ed Ossezia del sud da dove tutti i cittadini georgiani sono costretti a lasciare le loro case e dirigersi verso la Georgia.
Le conseguenze di questo conflitto per i georgiani sono enormi e le lacerazioni nella società sono vivissime. In primis, centinaia di migliaia di nuovi profughi (in un Paese di appena 4.5 milioni di abitanti) arrivano in Georgia e si sommano ad altre centinaia di migliaia di profughi abkhazi. Dal punto di vista economico è un colpo che la Georgia non è riuscita e non riuscirà ad assorbire per almeno altri 20 anni. Dal punto di vista sociale vi sono un numero altissimo di persone che hanno perso tutto, che si ritrovano a vivere in condizioni spaventose nei numerosi villaggi sorti attorno a Gori. Queste persone non riescono ad entrare nella società, vivono ai margini, visto che risulta a loro quasi impossibile trovare lavoro in un Paese già bloccato dall’altissima disoccupazione.
D’altro canto, a seguito della guerra, è arrivato in Georgia un fiume di denaro impressionante dagli Stati Uniti e dall’Europa che sta permettendo la ricostruzione del Paese e pure l’arricchimento della corrotta classe politica. Tutti i profughi vivono nelle case costruite e finanziate dalla UE e dagli Stati Uniti, e sopravvivono grazie ai loro aiuti. Praticamente tutto l’apparato statale sopravvive grazie ai dollari americani che continuano ad arrivare, in cambio hanno un Paese totalmente filo americano che sta dando anche un importante contributo di militari in Afghanistan e permette agli USA di avere un forte controllo sull’operato del presidente. Tutti questi soldi, però, nonostante il luccichio dei numerosissimi nuovi e scintillanti edifici, non sono stati utilizzati per gettare le basi della creazione di un’economia che manca totalmente nel Paese.
La Georgia è solo fumo negli occhi, un Paese che sembra vivere un fortissimo boom economico ma che in realtà ha i piedi fragilissimi, basterebbe che gli USA e la UE bloccassero o ridimensionassero i fondi per far piombare la Georgia nella miseria. Altro lascito della guerra è un diffusissimo risentimento antirusso alimentato dalle autorità, tanto che è stata varata una legge vietante la diffusione in pubblico di musica russa. I pochi russi che ancora vivevano in Georgia sono tornati nella loro madre patria mentre in Russia la vita dei numerosissimi georgiani che vi abitano è diventata sempre più difficile a causa delle discriminazioni che devono sopportare quotidianamente e sfocianti a volte in atti di vandalismo e di violenza. Tutti i segnali e le scritte in russo che erano presenti in Georgia sono state eliminate; le vie, che avevano un nome russo, hanno assunto una denominazione georgiana. Altro lascito della guerra è stata la chiusura dell’export verso la Russia che rappresentava il principale, e quasi unico, sbocco commerciale per i prodotti georgiani.
La situazione della Georgia, in conclusione, rimane molto incerta, la guerra ha sì causato distruzione e una marea di profughi ma ha pure permesso l’arrivo di ingenti aiuti stranieri senza i quali il Paese non si reggerebbe in piedi. Il futuro è quanto mai precario a causa delle imminenti elezioni, prima parlamentari e poi presidenziali, che vedranno scontrarsi il partito di maggioranza filoamericano del presidente Saakashvili ad un’opposizione finalmente unita e dalle altissime disponibilità economiche guidata dal filorusso Ivanishvili. Anche in questa campagna elettorale si parla molto di Ossezia del sud ed Abkhazia a dimostrazione di quanto questa ferita sia ancora aperta e continui a sanguinare. Naturalmente entrambi i candidati promettono un ritorno sotto la giurisdizione georgiana di quei territori come primo punto del loro programma ma forse i georgiani sono ormai disillusi e non credono ad un cambiamento per lo meno nell’immediato futuro.
di Michael Biasin