Renzi punta su Giddens e licenzia l’eguaglianza
Norberto Bobbio l’avrebbe presa male. Immaginare che nel programma di un candidato del maggior partito di centrosinistra non fosse citata neppure per sbaglio la parola “eguaglianza” o – altrimenti declinata – “uguaglianza” sarebbe stato contrario a tutta la sua opera politologica di definizione della categoria di sinistra. Eppure è stata proprio questa la scelta di Matteo Renzi.
[ad]Nelle 26 pagine programma consegnate alla rete si evitano accuratamente gli argomenti dell’egualitarismo. La redistribuzione dei redditi, la progressività della tassazione e altri totem socialdemocratici sono andati in soffitta. Prevedibile. È dal Big Bang – Leopolda edizione 2011 che il sindaco di Firenze preferisce parlare di giustizia sociale, un’idea di società dinamica in cui tutti partono allo stesso punto per avere esiti di vita differenti. Eppure anche l’eguaglianza delle opportunità citata nei 100 punti del Big Bang esce di scena nella prima edizione del programma renziano.
Non si tratta semplicemente di una scelta lessicale. Di per sé evitare le parole chiave a carattere ideologico potrebbe essere la rivelazione di un desiderio di porsi sempre più come un candidato post-partisan e soprattutto post-novecentesco. Ma c’è da chiedersi quanto i punti programmatici di Renzi siano capaci di incidere sulle disuguaglianze di condizioni di partenza. E questo lo si ottiene abbattendo le rendite di posizione, che siano legate al ceto sociale di nascita – con tutte le garanzie di migliori opportunità di istruzione e di formazione – o che siano espressione di privilegi diventati ereditari – è il caso della maggiore facilità d’accesso alle libere professioni. Bisogna deludere i fan delle liberalizzazioni. Renzi non menziona neanche la possibilità di abolire gli ordini professionali, anzi immagina di creare un ulteriore albo nazionale dei direttori generali ed amministrativi e dei direttori sanitari da cui attingere nelle nomine per le nomine nelle sanità regionali.
Senza un miglioramento effettivo nella concorrenza nel settore privato è irrealistico immaginare un contributo positivo alla crescita del Pil. Ma ad uscirne lesionata sarebbe in realtà la mobilità sociale. Sull’istruzione, Renzi cerca di osare di più immaginando una valutazione dei licei e delle scuole superiori in base ai risultati dei test Invalsi e un sistema universitario con tasse universitarie più alte negli atenei che scommettono sull’eccellenza didattica. Permettendo di pari passo agli studenti di pagarsi le tasse e gli studi attraverso un finanziamento garantito da un fondo pubblico. Mancherebbe un corollario, l’abolizione del valore legale del titolo di studio ma la competizione si rimetterebbe in moto.
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