Spread, i sacrifici erano necessari?

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La BCE scende in campo e lo spread cala. Ad una decina di giorni dall’ormai storica conferenza stampa di Mario Draghi in cui è stato varato il piano di acquisto illimitato di titoli di stato sul mercato secondario, e a pochi giorni di distanza dall’altrettanto significativa sentenza della Bundesverfassungsgericht sulla legittimità dell’ESM, il differenziale tra i titoli italiani a 10 anni e l’analogo titolo emesso dalla Germania è sceso di più di cento punti base, oltre l’1% di interesse, attestandosi al valore più basso dal 2 aprile.

Andamento dello spread BTP-BUND decennali a 30 gg
(aggiornato al 14/09/2012)

Come mostra il grafico dei dati Bloomberg, lo spread italiano è passato dal recente picco locale di 451 punti del 31 agosto ai 331 punti del 14 settembre.

[ad]Questa discesa importante così importante, soprattutto tenendo conto di quanto effimere siano stati gli analoghi cali del differenziale avvenuti in concomitanza con l’approvazione delle più dolorose tra le riforme operate dal Governo, ha fatto sorgere alcuni seri interrogativi: se era sufficiente una conferenza stampa di Draghi per generare un simile effetto, erano veramente necessarie le manovre lacrime e sangue approvate dall’esecutivo? Era necessaria una stretta tremenda alle pensioni? Era necessaria l’IMU? La riforma del mercato del lavoro?

Su questo tema i partiti politici, in vista della campagna elettorale, hanno colto la palla al balzo, con risultati a volte in linea con le proprie posizioni politica ma talvolta persino paradossali.

Sicuramente hanno alzato la voce le forze di opposizione al Governo, che hanno avuto terreno fertile nell’attaccare l’operato del Governo Monti tacciandolo nel migliore dei casi di inutilità e nel peggiore – nel solco delle svariate teorie complottiste – come un emissario di un qualche potere mondiale volto a togliere ogni forma di ricchezza e potere rimasta nelle mani del popolo. Lega Nord, Italia dei Valori e MoVimento 5 Stelle si sono contraddistinti per questa linea intransigente e anche provocatoria verso l’operato del Governo, portando ulteriormente avanti il ragionamento e ponendo l’accendo sulla perdita di sovranità del Paese, incapace con i propri sforzi di ottenere risultati apprezzabili ed in balia del potere di un’istituzione esterna come la BCE.
Per ragioni simili eppure opposte esulta il PdL, che dalla – presunta – impotenza delle istituzioni italiane trae la definitiva assoluzione dell’operato di Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio, scagionato dalle accuse di aver operato una pessima politica economica e aver fornito un’altrettanto pessima credibilità internazionale al Paese in quanto l’andamento dello spread si pone al di fuori del potere di un Governo.

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Ma si tratta di un ragionamento corretto?

[ad]L’assunto di fondo di chi propugna una simile tesi è che Draghi – e con lui la BCE – avrebbe potuto prendere la sua decisione e pronunciare quelle fatidiche parole in qualsiasi momento, risparmiando agli Stati manovre depressive e destabilizzanti. La semplice cronaca della faticosa trattativa necessaria per arrivare ad un simile risultato evidenzia tuttavia come Draghi non sarebbe mai potuto arrivare ad un simile risultato se i Paesi poco virtuosi non avessero iniziato politiche incisive di risanamento economico: se Italia e Spagna non avessero intrapreso, con riforme anche dolorose, quei passi necessari al contenimento della spesa e del debito, a votare contro il progetto di Draghi non ci sarebbe stata solo la Germania, ma un intero gruppo – sicuramente maggioritario – di Paesi virtuosi che a quel punto avrebbe avuto ragione a rifiutarsi di finanziare il debito di Paesi non solo spendaccioni, ma persino incapaci di ravvedersi con politiche adeguate.
Non è quindi vero che qualsiasi azione operata dall’esecutivo italiano sarebbe stata priva di impatti nella determinazione delle politiche europee; così come sarebbe impossibile pensare che la credibilità dei singoli Stati non abbia influenze quando si tratta di verificare la capacità di mantenere gli impegni. Sicuramente è corretto affermare che il vento è cambiato dopo l’elezione di Hollande in Francia, ma è altrettanto vero che l’atteggiamento verso i l’Italia da parte dei principali partner europei ha subito un profondo mutamento con il cambio di governo nel Paese.

Vertice europeo Francia – Germania (23/10/2011)
Vertice europeo Francia – Germania – Italia (24/11/2011)

La forza contrattuale di Draghi, nel momento in cui si è schierato per l’integrità dell’area Euro in difesa dei Paesi più deboli, è stata sicuramente ingigantita dal cambio di governo avvenuto nel nostro Paese, sia in termini di credibilità e prestigio, sia in termini di scelte politiche effettuate, o per essere più precisi dei saldi contabili a cui conducono tali scelte: le istituzioni europee, infatti, non entrano nel merito di come vengano reperite le risorse, ma si preoccupano di come queste vengano utilizzate per garantire la sostenibilità a lungo termine dello Stato.

Il comportamento di chi, osservando meramente il grafico dello spread degli ultimi giorni, si lancia in accuse complottiste o in peana assolutori, si pone ben oltre il limite della faciloneria in buona fede. Può essere vero che una parola di Draghi abbia il potere di abbattere o innalzare lo spread di decine o centinaia di punti base, ma il lavoro politico necessario per mettere Draghi nella condizione di poter dire quella parola, e ancora di più per far seguire alle parole le azioni, è stato assolutamente indispensabile.

La reale riflessione da mettere in campo riguarda invece un altro aspetto fondamentale: come mai le politiche intraprese dal Governo non hanno avuto impatti duraturi sui mercati? Perché si è reso necessario un intervento diretto della BCE?
La risposta a questa domanda è duplice. In primo luogo è necessario rendersi conto che i mercati globali ragionano ormai su dimensioni ben più ampie di quelle statali, e che un singolo Paese non ha più l’inerzia necessaria a deviare un andamento di mercato; il quesito precedente deve quindi essere riscritto pensando a come mai ad un intervento statale non è seguito automaticamente un recepimento da parte della BCE.
E qui i colpevoli sono ancora una volta i politici, incapaci, nel decennio di tranquillità economica seguito all’introduzione dell’Euro, di premunirsi contro i periodi di crisi, incapaci di pensare a strategie automatiche di difesa contro la speculazioni, incapaci, infine, di rinunciare ad una parte della sovranità economica nazionale per costruire il piano successivo della costruzione europea.
La politica nazionale non è ininfluente su scala europea, e non è rinunciandovi e richiudendosi in recinti separati che si potrà uscire dalla crisi. Al contrario, l’Europa è ormai l’interlocutore con cui i mercati si aspettano di avere a che fare, e l’Europa, intesa tanto come politica sovranazionale quanto come somma delle politiche nazionali, ha il dovere di non farsi trovare mai più impreparata come accaduto in questi mesi di fuoco.