Primavere democratiche o rivoluzioni coraniche? La seconda che hai detto

Pubblicato il 21 Settembre 2012 alle 11:50 Autore: EaST Journal
primavere democratiche, tunisia

Un “rinascimento islamico”?

[ad]Molte voci di critica si levano nei confronti dei governi sorti dalle rivoluzioni. L’errore è stato credere che si trattasse di primavere democratiche. Non essendolo, è ovvio che molte saranno le ragioni di preoccupazione: dai diritti delle minoranze religiose a quelli delle donne. Ma qui il pensiero va al Rinascimento europeo: erano ancora vivi i ricordi delle lotte degli estremisti cristiani (le eresie catare, bogumile, montaniste) mentre si andava affermando la Controriforma, l’intransigenza religiosa si accompagnava alla costruzione dello Stato in senso assolutistico, con buona pace delle libertà repubblicane e civili. Eppure i Papi chiamavano Michelangelo a celebrare la loro potenza, e Michelangelo dipingeva l’uomo al centro, non Dio. L’umanesimo si affermava e con esso l’idea di libertà individuale. Non è detto che questo “Rinascimento arabo”, per usare le parole dello storico Franco Cardini, non porti ad analoghi risultati. E non è escluso che un “Rinascimento arabo” non porti giovamento anche alle nostre società. I rinascimenti, abbiamo visto, sono pieni di contraddizioni che è possibile vedere solo non appiattendosi su vulgate cariche di pregiudizi.

Non era meglio quando si stava peggio

Senza addentrarci in questa sede sulle contraddizioni del conflitto siriano (del quale abbiamo già detto qui e qui e qui e pure qui), sembra tuttavia fuori luogo fare il tifo per i dittatori e rimpiangere quando Saddam, Mubarak o Gheddafi mantenevano l’ordine e la pace. “Dove fanno il deserto la chiamano pace”, dicevano gli antichi. Essi erano figli di un contesto storico ormai concluso, prodotto di una violenza militare, ostacolo per un rinnovamento della società. Da molta intellighenzia di sinistra, come tastando il polso dell’opinione pubblica, sembra ci sia una certa nostalgia per i dittatori. A questo si aggiunge il pregiudizio anti-americano proprio della sinistra novecentesca che spinge ad associare i nuovi regimi arabi al governo di Washington. Che le “primavere” siano anche il prodotto di un’influenza esterna, è innegabile. Le “ingerenze” però sono vecchie come il mondo e non possono essere, sul medio termine, determinanti. Piuttosto occorre riflettere sul fatto che Washington ha rapporti privilegiati con il mondo saudita, ovvero con coloro che armano e finanziano il fondamentalismo salafita e wahhabita.

C’è l’effettiva possibilità che queste rivoluzioni coraniche portino le società arabe verso un progresso che non per forza coinciderà con la “nostra” idea di progresso ma che comunque sarà caratterizzato dall’affermazione di libertà individuali. A influenzare questo processo sarà anche quella “società civile” di cui accennavamo sopra. L’esito non sarà forse la democrazia liberale di stampo europeo, ma un modello diverso, peculiare prodotto di una cultura antica che ha in sé le energie per crescere. Il cosiddetto occidente non deve interrompere il processo, e i pacifisti, i difensori della laicità e dei valori occidentali, gli esportatori di democrazia, i difensori dei diritti umani e delle donne, devono farsi i fatti loro. Le società non cambiano in due giorni. In fondo queste rivoluzioni sono iniziate con quel gesto, individuale e collettivo insieme, di Mohammed Buazizi: un suicidio sì, ma ben diverso da quelli dei kamikaze salafiti.

Da EastJournal

di Kaspar Hauser

 

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