Quasi il 30% dei lavoratori dipendenti – il 7,6% nel settore privato – è in attesa di rinnovo contrattuale. L’attesa dura mediamente 32 mesi, su 48 di durata della parte economica dei contratti collettivi di lavoro.
[ad]È l’Istat a dare conferma di una tendenza nota a chi segue le dinamiche delle relazioni industriali – nonché ovviamente ai più attenti tra gli stessi lavoratori: rapporti spesso conflittuali tra parte datoriale e sindacati, se non “invitati” da parti terze (Governo, Presidenza della Repubblica, autorevoli centri studi o allarmi sociali)ad addivenire ad accordi, portano a ritardare di molto il rinnovo dei contratti, salvo poi prevedere delle forme di compensazione (una tantum o rateizzata) nei confronti del lavoratore. Capita, che la compensazione si tramuti in una spesa per il contribuente (o per l’automobilista, quando diventa accisa sulla benzina).
Tra i settori in cui un incremento c’è stato, si segnalano energia elettrica e gas (2,9%), tessili, abbigliamento e lavorazione pelli, gomma plastica e lavorazioni di minerali non metalliferi (2,8%), chimiche, legno, carta e stampa (2,7%). Nella Pubblica Amministrazione, invece, l’incremento è nullo.
La nota dell’Istat confronta l’aumento medio delle retribuzioni medie (circa 1,6% su base annua) con quello – doppio – dell’inflazione. Alla luce di ciò non è difficile comprendere i dati Confcommercio, altrettanto drammatici (o “tragici”, secondo il Codacons).
Secondo Confcommercio, infatti, il 2012 si rivelerà l’annus horribilis dei consumi degli italiani: -3%, il dato peggiore della storia repubblicana. Dal 2007, ultimo “anno buono”, il calo dei consumi in termini reali è arrivato al 6,5%. A soffrirne di più, le componenti del settore commercio meno caratterizzate da efficienza di costo e capacità d’innovazione: reggono infatti telefonia ed informatica e, nella GDO, solo i discount (che raggiungono un preoccupante 10% nella quota di mercato), mentre i “negozi di prossimità” perdono il 2,6% del fatturato a fronte di un 3% di inflazione. A crescere sono infatti costo delle materie prime e carburanti.
In crisi anche il settore immobiliare: i contratti d’acquisto sono infatti scesi del 16%, secondo quanto reso noto dall’Istat e confermato da uno studio condotto dal sito web immobiliare.it. L’altra faccia della medaglia, è che sono in crescita i contratti di locazione in affitto: chi non può accedere ai mutui (a proposito, si sono dimezzati rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso) ed ha necessità di cambiar casa, non può far altro che ricorrere a questa soluzione. Rimane una domanda, sul mercato immobiliare: a fronte di un tale calo della domanda, non corrisponde un conforme calo dei prezzi, che restano pressoché stabili. I proprietari ritengono forse solo temporanea la situazione, e non vogliono deprezzare il proprio patrimonio, o temono di non trovare adeguate sistemazioni per le stesse condizioni da loro concesse. Le risposte possono essere molteplici e sono tuttora un argomento dibattuto.