Ucraina: donne emigrate in Italia. Ma chi bada alle loro famiglie?

Pubblicato il 28 Settembre 2012 alle 15:02 Autore: EaST Journal
ucraina

[ad]D’altra parte, anche per le madri stesse la migrazione può avere conseguenze difficili. Sorvoliamo qui sul grave peggioramento della loro condizione sociale: nella maggior parte dei casi si tratta di donne con un alto livello di istruzione, anche universitaria, che si adattano a lavori socialmente degradanti. In un’ottica di genere, le donne subiscono un primo shock culturale quando sono costrette ad accettare i cambiamenti dei figli nei loro confronti, i quali sono arrabbiati, distanti, spesso anche troppo piccoli per comprendere le necessità economiche della famiglia. Sono traumatizzate e stressate nel ruolo di “madri transnazionali”, si considerano “pseudo-mamme”. Al rientro tutto ciò si accentua ancora di più, quando le donne si accorgono di non avere più una famiglia – spesso i mariti si sono risposati –  oppure sono risospinte verso i ruoli femminili più tradizionali, in contrasto con quello più indipendente e di maggiore responsabilità che avevano cominciato ad assumere. Al punto che nel 2005, per la prima volta, Andriy Kyseliov e Anatoliy Faifrich, psichiatri a Ivano-Frankivs’k, diagnosticarono a due pazienti una nuova forma di depressione, successivamente definita “sindrome italiana”, che univa ai sintomi classici un affievolirsi del senso di maternità, profonda solitudine e una forte scissione dell’identità. Non era un caso se ciò avveniva tre anni dopo la grande sanatoria del 2002 che aveva permesso di regolarizzare molte lavoratrici domestiche: le prime donne cominciavano a tornare nei paesi di origine, probabilmente dopo aver guadagnato abbastanza.

Mentre il welfare del nostro paese si sostiene sull’immigrazione femminile, che ha consentito uno spostamento delle responsabilità domestiche e di cura dalle donne italiane a quelle straniere, senza chiamare in gioco né gli uomini né lo Stato, non solo il welfare stesso, ma soprattutto il benessere della società nel paese d’origine è fortemente intaccato. E poiché è irrealistico pensare che la migrazione femminile si fermi, perché i motivi di attrazione e di spinta permangono, è necessario interrogarsi sulla sostenibilità, tanto in Italia quanto nei paesi est-europei, del nostro (non) modello migratorio, e attuare nuove politiche che siano consapevoli delle sfide crescenti, invece che continuare a trattare il fenomeno migratorio come un’emergenza [3].

 Da East Journal

di Daniela Piazzalunga


[1] Citato in Tolstorova A., 2010. “Where have all the mothers gone? the gendered effect of labour migration and transnationalism on the institution of parenthood in Ukraine”, Anthropology of East Europe Review, vol. 28, n.1, pag.190.

[2] Dati al 1° gennaio 2011. Gli immigrati ucraini sono 218.000, oltre il 6% degli stranieri non UE regolarmente presenti in Italia.

[3] A luglio il governo Monti ha promosso una nuova sanatoria, passata abbastanza in sordina, aperta dal 15 settembre al 15 ottobre. Si tratta della settima regolarizzazione dal 1986 ad oggi, più di una ogni 4 anni.

L'autore: EaST Journal

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