L’Italia può sopravvivere alla scomparsa della destra?
Le vacanze di Formigoni, le spese pazze della Regione Lazio amministrata da Renata Polverini, il mattatoio della Sicilia e la tempesta perfetta che si sta per abbattere sulla Campania. Mettendo insieme questo collage dalle Alpi al Mezzogiorno profondo verrebbe da constatare la dissoluzione del centrodestra in Italia. Il Foglio, nella sua usuale ricerca di eleganza verbale titola proprio stamane “Sommario di decomposizione”. Non una prima assoluta per il quotidiano di Giuliano Ferrara, perché già verso la fine del 2005 – nei mesi successivi all’11 a 2 delle Regionali in favore dell’alleanza ulivista – l’elefantino fece ricorso al titolo di un’opera del filosofo Emile Cioran per certificare la parabola discendente del Cav.
[ad]La stessa titolazione a distanza di anni pone problemi diversi. E le disavventure mediatico-giudiziarie del 2012 sono un’ottima dimostrazione di quanto il centrodestra stia sparendo dallo scacchiere elettorale per motivi molto più seri dell’appannamento e del fine corsa di una leadership carismatica come quella di Berlusconi. Rimettere insieme i fatti potrebbe essere crudele.
Laddove la maggioranza era bulgara la sindrome dell’abbondanza ha messo in moto una sapiente distruzione del Pdl, caso Sicilia – l’unico posta in verità con un candidato con sufficiente appeal per riportare una strana coalizione di destra al potere. Laddove il governo si reggeva su numeri solidi sia fra i cittadini che in consiglio regionale è scattata la molla del sempiterno, ovvero Formigoni governatore da un millennio all’altro. Ignorando i processi di naturale consunzione temporale di uno stile di amministrare, di una squadra di amministratori e pure delle inevitabili clientele che insorgono nei processi di governo. In Lombardia il Pdl e quel che resta dell’alleanza di centrodestra vive nella sua ridotta e paga dazio per aver rinunciato nel 2010, dopo 15 anni di onorato servizio, di avvicendare il governatore non per consegnare la cabina di comando chiavi in mano al centrosinistra, ma per offrire alla Regione e, di conseguenza, al paese intero un’idea di alternanza anche nell’arco della stessa coalizione. Come succede ai quattro angoli del mondo democratico, dove ogni leader per quanto carico di meriti storici viene sfidato e sconfitto dopo aver svolto 2 al massimo 3 mandati alla guida di un governo, a qualsiasi livello istituzionale.
Logicamente, se con queste premesse dell’esperienza di Formigoni e di Pdl-Lega Nord in Lombardia il fine impero rischia di travolgere e cancellare nella memoria storica le buone conquiste dell’urbanistica contrattata o degli incentivi alla competizione fra pubblico e privato nella sanità.
Col Laziogate, invece, la destra ha posto fine a molte illusioni. In appena due anni. E il fragore dei milioni di euro depredati al contribuente per mantenere i vizi di Er Batman e di qualche consigliere regionale aggiunge soltanto del pecoreccio. Il dato principale è che l’attrazione fatale connessa alla Polverini di costruire una destra di governo, repubblicana ed europea sul modello del suo mentore, Fini è naufragata.
Quello che resta della destra, pertanto sono le frattaglie. La Destra di Storace, il gruppo intellettuale di Giannino di “Fermare il declino”, la Lega Nord asciugata nei consensi da Grillo e il Pdl, ridotto a una battaglia di testimonianza, con Futuro e Libertà da tempo al di sotto della soglia di sbarramento. La discesa proseguirà ancora, specie quando Matteo Renzi risulterà credibile a buona parte di quel 23% di elettori rimasti in dote al centrodestra. Un giorno molto vicino, se la politologa più eminente di destra in Italia, Sofia Ventura ha dichiarato di voler andare a votare per il rottamatore alle primarie di centrosinistra e pure l’ex premier Berlusconi si spertica in endorsement non richiesti.
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