Recensione de “Sulla strada” di Jack Kerouac
Jack Kerouac nasce a Lowell nel 1922 per poi morire a soli 47 anni di cirrosi epatica nel 1969. Vive la sua vita senza alcun limite, ha combattuto durante la seconda guerra mondiale ed è considerato uno dei maggiori scrittori statunitensi del ‘900.
[ad]E’ stato uno dei maggiori esponenti della Beat Generation alla quale diede questo nome. Il termine “beat” deriva da “beatitudine” cioè la ricerca della salvezza ascetica attraverso uno stile di vita che preveda l’uso di droghe, alcol, sesso fatto in modo frenetico e libertà dagli schemi e dai crismi dell’America operaia degli anni ‘50. Fu il movimento che diede l’ispirazione al movimento del ’68, la lotta contro la guerra in Vietnam e i figli dei fiori.
“Sulla strada” (On the road il titolo originale), è un c.d. “romanzo autobiografico di formazione”. Scritto in sole tre settimane, parla del viaggio attraverso l’America di Sal (lo stesso Kerouac) e Dean (Neal Cassady) sulle enormi autostrade statunitensi. Un viaggio fatto senza limiti, dormendo per terra, sfruttando passaggi di camionisti, cercando di racimolare qualche soldo sfruttando amici, parenti e conoscenti vari, andando all’avventura e senza preoccuparsi di cosa pensano gli altri. In effetti i due amici viaggiano solo per il gusto di farlo, senza una meta precisa, solo per il gusto di non fermarsi mai e di non avere regole. Ne esce fuori la descrizione di un Paese diverso da quello che siamo stati abituati a vedere: l’America post-bellica è lo Stato che ha appena dichiarato la sua superiorità al mondo, in pieno boom economico, fatto di uomini in cappello e giacca e donne in grembiule e acconciature improponibili. Invece Kerouac ci fa vedere un posto strano: un posto fatto di sbandati, capelloni, vagabondi, di donne che sono ancora attaccate ai valori degli anni ’50 ma che vogliono cambiare vita, di sregolatezze continue, di enormi neri che suonano il jazz con tanta intensità da incantare gli avventori di squallide baracche del Sud riconvertite in bar, di colazioni fatte con birra e whisky e di donne che si prostituiscono solo per un po’ di benzedrina.
Dean, il pazzo, il compagno di viaggio di Sal, vive in una vita tutta sua. Ex ladro d’automobili, ex bambino da riformatorio è lui il vero cuore pulsante del romanzo: alto e muscoloso fa subito breccia nel cuore delle donne che incontra, sino a sposarne 3 e fare 4 figli di cui, regolarmente, si dimentica l’esistenza. Vuole vivere al massimo, odia le convenzioni sociali, preferisce andare con Sal in giro per il loro immenso Paese lasciando mogli e figli a casa. Innamorato pazzo di tutto ciò che è bello, suda e si commuove quando sente un pezzo “bop”. La sua vita senza freni gli aliena l’amicizia di chiunque gli stia accanto tranne quella di Sal; perché Dean, in fondo in fondo, è come un bambino nel corpo e con le pulsioni di un adulto: quando lo sgridi e gli fai capire che ha fatto delle cazzate, lui resta lì contrito con lo sguardo basso e gli occhi pieni di lacrime.
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