Pablo Escobar, el patron del mal

Pubblicato il 26 Ottobre 2012 alle 19:46 Autore: L Undici
Il vero Pablo Escobar a sinistra e l’attore Andrés Parra a destra

[ad]Dopo il bruciante fallimento della sua carriera politica, entrano in gioco anche gli Stati Uniti. Il vero incubo per Escobar sarà infatti la possibile estradizione negli USA dove non può eliminare o intimidire giudici e poliziotti, né godere di appoggi e connivenze che gli garantiscono l’impunità in Colombia. Ma perché gli USA ce l’hanno con lui?Non tanto per bloccare il flusso di coca verso il loro territorio e salvaguardare la salute dei cittadini statunitensi, quanto per fermare il percorso inverso che compiono quantità enormi di dollari. I soldi che i cittadini statunitensi pagano per la coca – finanziando di fatto Escobar – sono diventati capitali ingenti che vengono sottratti all’economia USA. Il  narcotraffico è diventato un’impresa economica di tale portata da essere divenuto un problema per le finanze statunitensi.

Il motto di Escobar e dei suoi “soci” diventa: “Meglio una tomba in Colombia che un carcere negli Stati Uniti”. Pur di evitare l’estradizione negli USA, in particolare per impedire che la Colombia approvi una legge che consenta l’estradizione, Escobar farà di tutto. Dal negoziare con lo Stato a cui, nel 1984, proporrà di pagare l’intero debito pubblico di circa 10.000 milioni di dollari (!) in cambio della certezza di non essere estradato, fino a far esplodere un aereo in volo, uccidendo 107 persone innocenti, nel tentativo di eliminare un candidato presidenziale (César Gaviria) che avrebbe approvato l’estradizione e che si salvò non salendo su quel volo all’ultimo secondo, venendo poi eletto presidente (nel 1990).

Escobar arriverà a costruirsi un carcere a Medellin (nel 1991) e mettercisi dentro (ovviamente tra lusso sfrenato e comodità tutt’altro che ‘carcerarie’) pur che la Colombia non lo estradi negli USA. Le trattative con lo Stato avvengono allo scoperto ed ogni volta che si profila la possibilità che entri in vigore l’estradizione, Escobar piazza una bomba in qualche centro commerciale o minaccia di far saltare in aria i monumenti più rappresentativi del Paese (ricordate le bombe agli Uffizi e al Velabro del ’93?…).

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“La muerte de Pablo Escobar” del pittore colombiano Fernando Botero (1999)

Dopo essere fuggito dalla “sua” prigione perché la polizia voleva spostarlo in un vero carcere, sempre più isolato ed accerchiato, Escobar muore sui tetti della sua città, Medellin, ucciso da una squadra d’élite della polizia colombiana. Prima di quella data, un numero impressionante di “servitori dello Stato” colombiano viene assassinato dai suoi sicari. La serie televisiva rende omaggio a molti di essi, in particolare quelli meno noti (come i nostri Rosario Livatino, Libero Grassi, Boris Giuliano, ecc.), che sono raccontati non solo dal punto di vista professionale, ma anche nella loro vita intima e familiare che viene sconvolta dall’orrore degli omicidi e delle stragi, suscitando commozione e forte coinvolgimento emotivo.

Molti giovani colombiani non sanno chi fossero questi loro compatrioti, i cui assassinii sono spesso rimasti ancora impuniti (…). Altri invece hanno dimenticato per lasciarsi alle spalle un’epoca oscura, quando oggi la Colombia vive un periodo di boom economico e grandi speranze. Tuttavia, nonostante lo Stato colombiano sia molto più forte e solido che in passato, le rotte del traffico della coca si siano parzialmente spostate ed il senso della legalità dei colombiani sia cresciuto, tanti dei problemi che permisero ad Escobar di mettere in ginocchio questo Paese, sono tutt’altro che risolti.

Il grado di corruzione, ingiustizia e violenza nella società e politica colombiana sono ancora troppo alti e pericolosi e consistenti porzioni di territorio sono ancora sotto il controllo di guerriglieri, narcotrafficanti o paramilitari. La serie “Escobar, el patron del mal”, oltre ad intrattenerci, ha anche il merito di riportare d’attualità, in maniera avvincente, ma anche chiara ed inequivoca, una parte della storia colombiana (che ha tante similitudini con quella italiana e non solo…) che è importante non dimenticare. Perché come diceva il filosofo spagnolo George Santayan e come recita una voce nella sigla della serie: “Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla”.

E adesso, scusate, ma vado a vedermi un capitolo di “Pablo”…

[scritto dall’inviato a Bogotà dell’Undici]

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