Barack Obama ha parlato al ceto medio, l’ha corteggiato fin dalle prime battute provando a innescare un frame comunicativo nuovo di zecca e sul quale il presidente potrebbe decidere di puntare nell’ultimo mese di campagna elettorale, ma Mitt Romney esce vincitore del primo dibattito.
[ad]Non è bastato al presidente parlare di “patriottismo della classe media” rivolto in antitesi l’economia a beneficio dei ricchi attribuita a Romney. Il quale non solo ha subito disinnescato l’attacco promettendo per ben due volte di “non diminuire le tasse” sui redditi più elevati, ma ha riservato al pubblico una performance da presidente in pectore che si rivolge a tutta l’America e non ad una sola parte.
L’ex governatore del Masachusetts più brillante nel linguaggio del corpo, fisso con lo sguardo su Obama in ogni risposta, si è rivolto verso la telecamera solo nel messaggio finale. Il presidente, invece, si è trovato impacciato e spesso alla ricerca di appunti al pari di uno scolaro che si era preparato poco la sera prima.
Il momento apicale Romney – nel primo dei tre dibattiti presidenziali, andando in onda all’università di Denver – l’ha toccato quando in tema di economia e di Obamacare si è proposto in una veste insolita per questa campagna elettorale di leader coesivo per tutta l’America: “Signor presidente – si è rivolto guardandolo negli occhi – io so cosa significa essere bipartisan. Quando sono diventato governatore mi sono ritrovato con un Congresso dello Stato per i 2/3 controllato dai democratici, ma mi sono seduto ad un tavolo e ho trovato con loro un accordo. Ci serve un presidente che sappia unire la nazione, non dividerla”.
Il momento di maggiore abilità di Romney, perché pur andando in difficoltà sull’obiezione del presidente di aver varato in Masachusetts una riforma sanitaria pressoché identitica all’Obamacare – a livello programmatico la maggiore fonte di imbarazzo e di contraddizione per il repubblicano –, è stato capace di divincolarsi esaltando le differenze nello stile di leadership: “La mia riforma venne votata sia dai democratici che dai repubblicani, lei l’ha fatta votare a maggioranza senza un singolo voto repubblicano; la mia riforma non ha alzato le tasse, la sua sì; la mia riforma non prevede che un board di burocrati possa decidere dove tagliare i fondi della sanità, la sua sì”.
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[ad]Obama ha preferito indirizzarsi sul suo racconto dell’America in difesa del ceto medio. Con un patriottismo radicato fin in una citazione di Abramo Lincoln: “Il compito del governo è di aumentare le possibilità dei suoi cittadini”. E il messaggio finale è stato coerente con la parte tenuta in scena durante il dibattito: “Se credete che la classe media vada protetta potete fidarvi di me per un secondo mandato”.
Una narrazione che è stata disturbata, se non in gran parte smontata dalla promessa di Romney di creare 12 milioni di posti di lavoro, abbassando la pressione fiscale – utile è stato il ricorso a metafore come “fardello” e “sgravio” accompagnato da movimenti ascendenti e discendenti delle braccia – e al tempo stesso il livello di spesa pubblica. Rimarcando le responsabilità dei democratici nell’essere stati incapaci di arrestare la disoccupazione, che riguarda oramai 23 milioni di americani. Il colpo del k.o. non si è visto e nella bilancia del consenso bisognerà aspettare qualche ora per capire quanto il dibattito di stanotte sarà stato capace di spostare. Tuttavia sulla crescita e sul disavanzo Romney si è mostrato più sicuro e sfrontato: “Ha avuto 4 anni di tempo per riuscire a ridurre il debito pubblico”. “L’America con me tornerà ad essere un paese migliore”.