Lavitola e l’eredità del berlusconismo
Una notizia forse passata troppo inosservata negli ultimi giorni riguarda il rinvenimento di una lettera, scritta dal faccendiere Valter Lavitola, all’ex-Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
[ad]All’interno della lettera vengono evidenziate le responsabilità di Lavitola nella caduta del Governo Prodi e nell’affaire della casa di Montecarlo che ha tenuto banco ai tempi della rottura tra Berlusconi e Fini.
Non vi sono, ad oggi, certezze sulla veridicità della lettera; più del contenuto politico, tuttavia, essa è rilevante per lo spaccato sociale che disegna, per la familiarità con cui vengono calpestate le istituzioni, per la nonchalance con cui si mettono in gioco somme di denaro al di là dei sogni e delle possibilità dei cittadini normali, per la sfacciataggine con cui si chiedono e si ricevono favori attraverso canali anch’essi preclusi alla stragrande maggioranza della gente.
Questa, forse, più di ogni altra cosa, è l’eredità del berlusconismo, e di un ventennio di Seconda Repubblica, un’eredità di cui sarà molto difficile liberarsi.
Sig. Presidente,
La prego di scusarmi se con la consuetudine che Lei mi ha concesso, Le scrivo con estrema chiarezza. Per me la base della vita è il rispetto, e quella del rispetto la chiarezza. Ovviamente condita dalla massima educazione. Mi comporto così con Lei ed anche con il più umile. Le dico francamente, no so se le Sue prese di distanza sono reali, o frutto di un misto di istinto di conservazione, vigliaccheria e cattivi consigli, o come spero, di un giusto e normale gioco delle parti.
Comunque, leggere che Lei mi accomunava ad un mafioso, motivo per il quale Lei non mi avrebbe più parlato, mi ha fatto molto male e ha rischiato d’avvero di farmi impazzire. Forse meritavo che definisse la mia una litania insopportabile o qualsiasi altra cosa, ma non quello. Ma è passato.
Io sono un uomo d’onore, e voglio continuare ad esserlo. Mi sono fatto da solo, senza il Suo benché minimo contributo, e voglio continuare a fare così. Io davvero non sono in debito con nessuno e voglio contrinuare ad essere in credito, anche con Lei. Vico così e mi piace molto.
Lei, subito dopo la formazione del Governo, in questa Legislatura, con Verdini e Ghedini presenti, mi disse che era in debito con me e che Lei era uso essere almeno alla pari. Era in debito per aver io “comprato” De Gregorio, tenuto fuori dalla votazione cruciale Pallaro, fatto pervenire a Mastella le notizie della procura di Santa Maria Capua Vetere, da dove erano arrivate le pressione per il vergognoso arresto della moglie, e assieme a Ferruccio Saro e al povero Comincioli “lavorato” Dini. Ciò dopo essere stato io a convincerLa a tentare di comprare i Senatori necessari a far cadere Prodi. Ciò in viaggio verso Reggio Calabria in aereo, per una manifestazione di De Gregorio, presente Valentino.
Anche allora mi indagò Piscitelli, senza risultato, motivo per il quale Ghedini ammise che non era opportuna la mia candidatura. Non candidò neppure Sica (salvo poi premiarlo con i risultati noti), io nonostante la mia delusione, mi adoperai a che il Sica non impazzisse.
Lei mi ha promesso:
- Più volte di entrare nel Governo (persino mi chiamò dopo la nomina della Brambilla e con onestà mi disse che era dispiaciuto di non riuscire solo con me a mantenere la parola);
- Di mandarmi al Parlamento Europeo (alle precedenti pressi da solo 54.000 preferenze);
- Di entrare nel cda della Rai;
- Che il primo incarico importante che si fosse presentato, sarebbe stato per me (inizio 2010);
- Di collocare la Ioannucci nel cda dell’Eni;
- Di nominare Pozzessere, almeno direttore generale di Finmeccanica;
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