Cosa si è deciso all’Assemblea del Pd
L’Assemblea nazionale del Partito Democratico del 6 ottobre non è stata, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica, uno “psicodramma democratico” come aveva scritto qualche editorialista sui principali quotidiano nazionali.
Ma pur essendo un tappa importante si porterà dietro nei prossimi giorni alcuni dubbi e alcune incognite sull’aspetto veramente dirimente di questa competizione politica: le regole del gioco.
[ad]L’Assemblea in primo luogo ha dovuto procedere con la sospensione provvisoria di quell’articolo dello statuto del Pd che indicava come candidato unico del partito, in caso di primarie di coalizione, il segretario del partito.
In questo modo sarà possibile anche per altri esponenti del Pd oltre a Bersani (Renzi, Puppato e Gozi) partecipare alla competizione politica.
Questa scelta è stata fatta considerando come il quadro politico e di sistema sia radicalmente mutato rispetto alle primarie del 25 ottobre 2009, quando fu eletto Pierluigi Bersani. Da qui il bisogno di una nuova competizione a tutti gli effetti aperta a diversa candidatura, senza discriminazioni di partito.
Del resto lo stesso Renzi, principale competitor di Bersani, è riuscito a porre la sua candidatura nell’aurea della legittimità democratica pur appartenendo alla stessa forza politica del segretario. E ciò è riuscito anche in termini di prassi a favorire quella che è pur sempre una sospensione temporanea e non un’abolizione dell’articolo dello statuto.
In secondo luogo sono state definite le modalità per potersi candidare alla competizione da casa democratica: serviranno le firme o di 90 membri dell’Assemblea Nazionale o il 3% degli iscritti al partito. Quote che, fatte le dovute proporzioni, risultano essere in linea con quelle per le candidature alle primarie di coalizione nei comuni.
Ma la vera incognita sta nel terzo punto che ha conferito a Bersani il mandato di discutere delle regole delle primarie con gli altri partner della coalizione (Sel e Psi).
Infatti, per il testo che ha conferito a Bersani questa responsabilità sulle regole, si parla sia di albo degli elettori sia di doppio turno.
Il doppio turno appare sempre più probabile, considerando la numerosità delle candidature in queste primarie, e dovrebbe essere di tipo classico: se il 25 novembre nessun candidato otterrà la maggioranza assoluta dei consensi il 2 di dicembre ci sarà un vero e proprio ballottaggio tra i due candidati più votati. Caduta dunque l’ipotesi di rieditare uno sbarramento al 40% capace di assegnare la vittoria al primo turno ad un candidato capace di ottenere almeno questa percentuale, come avvenuto nelle primarie fiorentine del 2008.
Per quanto riguarda l’albo si fa un riferimento alla necessità di registrarsi a partire da 21 giorni prima della data delle primarie. Bisognerà però capire se sarà possibile registrarsi anche lo stesso giorno del voto e soprattutto se sarà possibile farlo presso gli stessi seggi delle primarie. In questo secondo caso si tratterrebbe di una pratica simile, seppur più vincolante, a quella che nel 2005, nel 2007 e nel 2009 quando si richiese agli elettori di firmare un’adesione al “popolo del centrosinistra”. E non dovrebbe dunque dispiacere allo staff renziano.
Alla luce di queste disposizioni prese dall’assemblea nazionale appare evidente come il grado di competitività dipenda dall’uso che Bersani farà del suo incarico di “responsabile delle regole”.
L’Assemblea di sabato dunque non può definirsi una vera e propria vittoria per Renzi né tantomeno una cocente sconfitta. E Renzi più volte ha dichiarato di fidarsi di Bersani e di conseguenza del compito a lui assegnatogli.