I primi due giorni del mese di ottobre hanno visto svolgersi a Venezia una conferenza del Global Footprint Network, un think tank no-profit fondato nel 2003 focalizzato nello studio e nella realizzazione di strumenti di analisi per la sostenibilità ambientale, tra cui spiccano la biocapacità – ovvero quanto il territorio è in grado di fornire in termini di risorse – e l’impronta ecologica – ovvero quanto un Paese consuma.
[ad]La conferenza, intitolata Mediterranean Initiative, era interamente dedicata allo studio dei Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, e si poneva l’ambizioso obiettivo di valutare non solo l’impronta ecologica di questi Paesi, ma anche i possibili legami tra la crisi economica ed il deficit ecologico, cercando di dimostrare come politiche ecologiste possano avere ricadute positive anche dal punto di vista prettamente economico.
Il paper prodotto come risultato dell’evento mette in evidenza la situazione critica in cui versa il bacino del Mediterraneo.
Biocapacità ed impronta ecologica dell’area mediterranea (1961 – 2008) |
Come ben evidenzia infatti il grafico dell’impronta ecologica dei Paesi del Mediterraneo nel suo complesso, si colgono due aspetti allarmanti.
In primo luogo emerge un progressivo aumento del consumo pro capite di risorse, legato in massima parte all’avvento della filosofia dell’usa e getta e concentrato principalmente nella prima metà degli anni ’80.
L’aspetto tuttavia maggiormente inquietante è costituito dalla diminuzione delle risorse disponibili per persona: in parte è un aspetto spiegabile con l’incremento della popolazione, ma in parte il fenomeno si esplica in una distruzione tale dell’ambiente naturale da non permettere più la rigenerazione delle risorse.
Nel 1981 l’area mediterranea poteva sostenere una volta e mezza la popolazione dell’epoca ed ogni persona consumava per due. Nel 2008 lo stesso territorio può sostenere poco più di 1,25 volte la popolazione presente in quell’anno, ma ogni persona è arrivata a consumare per tre.
Non occorrono calcoli e proiezioni per constatare l’insostenibilità di un simile andamento.
Il problema, tuttavia, non è solo ecologico, ma economico.
Nel 2008, per citare il dato relativo al periodo di termine della ricerca, appena il 40% delle risorse consumate nell’area del Mediterraneo era stato generato in loco.
Questo rende la zona estremamente fragile, in quanto instaura una dipendenza dalla presenza di risorse provenienti dall’esterno, dalla volontà politica di trasferire queste risorse nel Mediterraneo e dalla solvibilità dei Paesi mediterranei di pagare per l’accesso alle risorse desiderate.
Biocapacità ed impronta ecologica dei Paesi dell’area mediterranea (A-L) |
Biocapacità ed impronta ecologica dei Paesi dell’area mediterranea (L-Z) |
Spostando lo sguardo al dettaglio dei singoli Paesi, il quadro non cambia, e anzi evidenzia come il maggior grado di benessere generalmente attribuito alla sponda europea del Mediterraneo sia stato conquistato sovrasfruttando il territorio oltre il limite delle proprie capacità e in generale adottando uno stile di vita che rende necessario un acquisto dall’estero delle risorse.
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[ad]Per completare il quadro, è infine necessario ricordare come dagli anni ’70 il consumo di risorse naturali eccede la rigenerazione naturale delle medesime risorse a livello planetario, rendendo più difficile e conseguentemente più costoso l’approvigionamento.
Il possesso e la gestione oculata delle proprie risorse naturali costituscono quindi due fattori chiave in una politica economica di successo: Italia, Spagna, Portogallo e Grecia sono Paesi in forte crisi economica, e sono tutti caratterizzati da un profondo deficit nel grafico dell’impronta ecologica.
Al di là degli episodi di spreco e malcostume politico che quotidianamente riempiono le cronache dei telegiornali, in questi Paesi vi sono carenze strutturali a livello di gestione delle risorse naturali che li obbligano a dipendere sempre di più dall’estero, e quindi a indebitarsi.
La politica economica dei Paesi mediterranei evidenzia un’ulteriore debolezza se si esaminano i principali Stati importatori: Germania, Belgio e Paesi Bassi. Si tratta infatti di Paesi a loro volta pesantemente in deficit ecologico, e quindi di risorse. Questo non potrà non avere effetti in futuro, quando la scarsità di risorse a livello globale farà sì che i Paesi da cui il Mediterraneo è solito approvigionarsi smetteranno di essere fornitori di risorse per destinare queste ultime ad uso interno.
Esaminare la crisi economica da un punto di vista ambientale consente di cogliere i benefici a livello finanziario di decisioni prese a livello di gestione e utilizzo delle risorse naturali.
In particolare il report evidenzia due principali filoni di condotta: il primo consiste naturalmente nello spostameto della dipendenza economica da regioni del mondo in deficit naturale a quei Paesi che ancora costituiscono una riserva di risorse.
Il secondo e più ambizioso consiste nell’individuazione del modo per abbattere il valore dell’impronta ecologica dei Paesi; dalla riduzione degli sprechi in campo energetico alla protezione dell’ambiente intesa come salvaguardia delle risorse al di sopra del limite di rigenerazione spontanea sicuramente gli esempi si sprecano. Il panel di Venezia non si addentra nel dettaglio delle soluzioni politiche che è possibile intraprendere, ma pone l’accento sul legame sempre più stretto tra benessere economico e benessere ambientale, ricordando una volta di più che solo rivoluzionando i valori che hanno condizionato l’economia degli ultimi decenni sarà possibile trovare una via d’uscita dalla crisi che stiamo vivendo.