Sembra di rivedere un film già visto. Nel 2005-2006, quando Berlusconi, Casini, Fini e Bossi si accordarono per una legge elettorale che avesse le caratteristiche giuste per far aumentare le chance (in quel momento ridotte al lumicino) del centrodestra di rivincere le elezioni o, nel caso poi realizzatosi, per rendere più arduo il compito di Prodi.
[ad]Lo schema della genesi del porcellum fu molto semplice: diversi politologi – primi fra tutti Bartolini e D’Alimonte – avevano individuato i punti di forza e di debolezza dei due schieramenti rispetto alla legge allora in vigore, il mattarellum.
Il centrosinistra guadagnava nel maggioritario, avendo un elettorato più propenso a votare candidati di altri partiti della coalizione (più unito, sicuramente più dei propri stessi leader), mentre perdeva nel proporzionale, poiché in molti casi gli elettori non si riconoscevano in uno dei partiti che comparivano sulla scheda, o perché si riconoscevano in uno degli altri. Il centrodestra aveva invece un elettorato più diviso dei propri stessi leader, per cui era complesso scegliere un candidato che andasse bene a centristi e leghisti e aennini. Di contro, più forte era l’affiliazione ad uno dei quattro partiti maggiori della coalizione, e quindi migliore il risultato nel proporzionale.
Niente di meglio quindi che una legge che cancellava la quota maggioritaria, limitandosi ad assegnare un premio di maggioranza che alla Camera poteva essere anche cospicuo ma al Senato per forza di cose, incerto. Le liste bloccate permettevano poi una maggiore fedeltà degli eletti, nonché di identificare i partiti con i rispettivi segretari, e la coalizione stessa con il candidato alla presidenza.
Tutto ciò, è storia nota ai più. Nella legislatura seguente, il centrosinistra fu molto miope, perché pur volendo cambiare la legge elettorale, non individuò un punto di partenza che poteva essere il ritorno al maggioritario: le ricette proposte in quei due anni non furono a favore della coalizione – né tantomeno del “sistema politico nel suo complesso”, come si dovrebbe, parlando di regole del gioco – ma degli interessi dei singoli membri della maggioranza. Il Pd voleva premiare i partiti più grandi, gli altri puntavano a salvaguardare le liste minori.
Oggi, la stessa maggioranza che partorì la Legge Calderoli, ha approvato in Commissione in Senato una bozza di nuova legge elettorale. Premio di maggioranza del 12,5% alla coalizione vincente, collegi plurinominali che verranno riesumati dagli archivi della prima repubblica, preferenze. Sorvoliamo sull’opportunità politica di proporre le preferenze il giorno dopo l’arresto dell’assessore lombardo Zambetti per compravendita di voti nientemeno che con la ‘ndrangheta, se passasse questa proposta sarà difficile pensare che una coalizione tra quelle che siederanno nel prossimo Parlamento potrà governare da sola, a meno di grosse ammucchiate pre-elettorali.
Una legge che porterà all’ingovernabilità, o nella migliore delle ipotesi ad un Monti-bis che permetta un nuovo, tranquillo giro di giostra ai suoi proponenti (tranne forse alla Lega, che infatti già si sfila).
Una legge “alla greca”, che forse è anche giusto così.