Ucraina, altre due generazioni per poter cambiare
[ad]L’imperante modello gerarchico, eredità dell’oscurantista periodo sovietico, è tuttora radicato all’interno dell’istituzione e così gli studenti, percependo le verità dei loro professori come Verità Ultime, non osano l’azzardo di porle sotto la loro lente critica, cercando contro-argomentazioni che possano sbugiardarle. Si sottopongono a ciò e accettano il loro status di cecità critica sino a che, eventualmente, un giorno diventeranno anche loro professori e la magia dello status professionale garantirà anche alle loro verità di diventare Ultime. Terminata la parentesi sul ruolo dell’università come spazio della società civile, una studentessa risponde così alla mia richiesta di indicare soggetti capaci di giocare il ruolo di forza trainante il cambiamento: “Beh, io penso che la nuova generazione possa veicolare il cambiamento”. La ascolto, rimango in silenzio una decina di secondi, e poi riparto all’attacco: “Scusa, ma perché parli in terza persona della nuova generazione, quando la nuova generazione sei tu, è lei, è lui, è lei? Non nascondetevi sempre dietro un terzo soggetto, descritto come oggettivo e distaccato rispetto a voi stessi, per delegargli compiti che oggi Voi siete costretti a svolgere. Voi siete la nuova generazione, voi siete i giovani, voi siete la futura classe politica, voi siete la futura classe dirigente. Non parlate in terza persona di questi soggetti altrimenti quando realizzerete che i soggetti, di cui parlavate con distacco, eravate voi stessi sarà troppo tardi e questo paese dovrà attendere una nuova generazione finalmente capace di riconoscere se stessa per iniziare i suoi tanto necessari processi di cambiamento. Ti giro quindi la domanda, in che modo Voi, ossia quel soggetto che dovreste definire come un Noi ma che percepite come un Essi, può cambiare le sorti di questo Paese?”. Silenzio. Dopo qualche minuto comunico che la lezione può terminare qui, possono lasciare l’aula e impiegare i restanti venti minuti di lezione per discutere insieme i contenuti della lezione e l’atto d’accusa da me provocatoriamente avanzato. Illustro il tema della successiva presentazione e mi congedo. Saluto la docente e gli impiegati del Dipartimento e mi dirigo verso casa. Sono svuotato, esausto, intontito.
Non pensavo potesse farmi così male palpare la resa di una generazione. Ne sono abituato, la mia è una generazione reazionaria. Ma qui è diverso. Ciò che mi ha veramente scosso, e a cui imputo il mio sentirmi deprivato dopo la lezione, è vedere, in un contesto in cui la Storia è eterno presente, il tangibile orizzonte di un cambiamento ma prendere specularmente coscienza della mancanza di attori capaci di interpretarlo, di giovani volenterosi di costruire il proprio futuro. Ieri ho capito la concretezza dei dati e degli studi. Serviranno almeno due generazioni per cambiare le cose. E potrebbero non bastare.