Io, il mio primo giorno di scuola lo ricordo perfettamente.
Era il 1° ottobre del 1976. Anni difficili, ingombranti. Soprattutto in grandi città come Torino, anche se ero troppo bimbo per accorgermene. Né potevo sapere che il mio primo anno di elementari fosse l’ultimo in cui si andava a scuola tutti a partire dal primo ottobre. Anch’io, quindi, ero un “remigino”. In classe eravamo in tanti, con quei banchetti bassi e stretti e quelle sedie di legno ridicole. Tutti i genitori entrarono per sentire la presentazione della maestra. Mi ricordo che parlò dei pastelli di cera che non si spezzavano nemmeno se cadevano. Anzi, fece una dimostrazione pratica lasciandone cadere uno dalla mano, che aveva sollevato più in alto dei suoi capelli per imprimere maggiore impatto alla caduta. Ovviamente quei pastelli sarebbero dovuti essere miei.
Io, il mio primo giorno di scuola sapevo già leggere e scrivere bene. E fui l’unico che, senza alcuna fatica, scrisse su un foglio da disegno il proprio nome e cognome. La maestra mi fece i complimenti prendendo il foglio e mostrandolo agli altri bambini. Un dramma. Il mio ego fu talmente esaltato che vissi di rendita per almeno sei mesi.
Io, il mio primo giorno di scuola mi resi conto di non essere come gli altri miei compagni. Ed ora che era arrivato anche per mia figlia quel momento, non volevo che quel film si replicasse. Quanto l’avevo desiderata. Quanto ero felice quando le pratiche di adozione furono ultimate. Dal primo momento del suo arrivo in casa, l’unica cosa che volevo era infonderle sicurezza e amore. Ma, prima o poi, sarebbe arrivato il momento di misurarsi con la realtà. Per lei e per noi. E oggi era arrivata la prima importante prova. Nella stessa mia scuola elementare.
Ero stato incerto fino all’ultimo se volerla accompagnare oppure no, ma alla fine mi resi conto che non ci sarebbe stato un altro primo giorno di scuola per lei. Ed io non avrei potuto perderlo soltanto per una mia fottutissima paura, soprattutto dopo essermi battuto perché Stella facesse parte della famiglia. Le mie inquietudini mi facevano spesso pensare di non essere cresciuto, nemmeno con una figlia di sei anni che, probabilmente, entro poco tempo sarebbe stata molto più in gamba di me alla sua età.
Ci incamminiamo tutti e tre verso la scuola. Stella è bellissima con il grembiulino e una vera cartella di cuoio, non quegli zainetti plastificati con stampati i fumetti del momento. E’ tranquilla e taciturna, come me quel giorno di 36 anni fa. Io cerco, per quanto possibile, di non farle sentire la tensione che mi aggredisce il fegato.
Voltiamo l’angolo e siamo davanti a scuola. Non siamo i primi. Nello spazio ai piedi dei gradini che portano all’ingresso ci sono almeno un centinaio tra bambini e genitori. In un lampo, Stella urla: “C’è Gianni!”, stacca la sua mano dalla mia e corre verso il suo amichetto di giochi. Quasi mi ero dimenticato che fosse il primo giorno di scuola anche per lui. Incomincio a sentirmi meno angosciato e, finalmente, a pensare alla serenità di mia figlia e non alle mie stupide preoccupazioni.
Andiamo lentamente verso mamma e papà di Gianni, che ci salutano con la loro consueta gentilezza e ci chiedono, all’unisono: “Siete pronti?”. Con voce chiara e senza la minima esitazione, Ludovico risponde: “Sì”.
E poi, voltandosi verso di me, mi chiede: “E tu?”
Io abbozzo un sorriso, faccio un grande respiro, corro verso mia figlia che in quel momento è di spalle e non si accorge di me e la sollevo in aria, una delle cose che più le piacciono. Lei ride come una matta. Io scarico la tensione. Per ora è andata bene. E’ il primo giorno di scuola della mia Stella nascente.