La mattina di giovedì 11 ottobre Milano, non a caso, si è svegliata con la prima grande foschia dell’autunno. A Roma forse ci sarà stato il sole, ma c’è comunque poco da ridere. Perché la giornata di mercoledì 10 è stata una delle più buie della storia repubblicana. E non soltanto per gli scandali che stanno travolgendo Lombardia e Lazio, le due regioni più importanti del Paese.
[ad]Abbiamo tutti, da anni, fatto le pulci ai costi della politica nazionale, agli stipendi di parlamentari ed europarlamentari, alle buvette di Camera e Senato. Nel mentre, nelle Regioni è successo di tutto. La gravità delle accuse all’assessore lombardo Domenico Zambetti, soldi alle ‘ndrine in cambio di voti, si commenta da sola. Ed è ancora peggiore del caso Fiorito e, per non farci mancar niente, del “Fiorito di sinistra” Vincenzo Maruccio dell’Idv: al proposito c’è stato il tiro al bersaglio ad Antonio Di Pietro, al quale in molti – Mattia Feltri, ad esempio – hanno fatto sarcastici complimenti per l’infallibilità con la quale sceglie i suoi cavalli di razza (o Razzi). En passant, metà delle Regioni riceve regolari visite dalla Finanza e il comune di Reggio Calabria è stato sciolto per “contiguità mafiosa”.
Qualcos’altro? Sì. Per esempio, lo sfogo incredibile di Sergio Marchionne nei confronti di Renzi e, soprattutto, di Firenze. E, ultimo ma non meno importante, l’allegro aumento dell’Iva da parte del governo, che rischia quasi di passare inosservato in mezzo a questo trambusto. Tutto accaduto il 10 ottobre, che se fosse fosse stata una giornata normale, avrebbe avuto tra le prime pagine la traversata “alla Mao” di Beppe Grillo a nuoto lungo lo stretto di Messina, le cui correnti non lo hanno travolto, ma rischiano di portare via tutto il sistema del Federalismo. Con la possibilità di cadere nell’errore di gettare bambino e acqua sporca.
Stando così le cose, gli scandali regionali sono la nuova Tangentopoli vent’anni dopo? Chi l’ha vissuta ci ha subito pensato e Ugo Magri su La Stampa, ad esempio, prova a comparare i due fenomeni. Certamente, le analogie ci sono: due su tutte, la finanza pubblica alle corde e un governo tecnico anche allora. Qualche differenza nel sistema (sempre illegale) di pagamento: “Allora – scrive Magri – erano soprattutto le imprese, quelle pubbliche e quelle private; adesso il saccheggio ha luogo nelle istituzioni medesime; vent’anni fa rubavano «per» il partito, stavolta «al» partito”. Continuando il parallelo: caduta (ancora non completa) del berlusconismo ora, caduta del craxismo allora. Difficile, però, immaginare Roberto Formigoni assalito da un lancio di monetine, anche se la sua strenua resistenza ha avuto qualcosa davvero di surreale. Il tempo è davvero scaduto e tutti glielo hanno ricordato, testate di centro destra comprese. Ma cosa succederà dopo, chi lo sa. Da Tangentopoli nacque la Seconda Repubblica, mai del tutto decollata e ora morente, senza alcuna fondamenta per una Terza.
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[ad]E’ un periodo “giornalisticamente molto interessante”, come detto da Marco Travaglio pochi giorni fa a Otto e 1/2 perché, per la prima volta in vent’anni, “non sappiamo davvero chi ci sarà e come andrà a finire”. Cinicamente vero: quali soluzioni? Il suo direttore, Antonio Padellaro, prova a lanciare sul Fatto una suggestione: “Oggi c’è un’Italia che non ha più nulla da perdere, ma che può ancora vincere con le armi della democrazia e,perché no, con l’immensa forza della Rete. Liste pulite con candidati competenti e credibili. E, attraverso il web, controllo collettivo e immediato di come viene usato il pubblico denaro con denuncia immediata dei saccheggiatori. Le elezioni sono vicine, bisogna provarci. Chi l’ha detto che dobbiamo morire prigionieri dei banchieri, dei ladri e dei parolai?”. La risposta tocca soltanto a noi.