D’Alema, Veltroni ed il ricambio necessario
L’intervista con cui domenica sera Walter Veltroni ha annunciato a “Che tempo che fa” l’intenzione di non ricandidarsi è al centro delle discussioni nel Pd, perché proprio nel giorno in cui Bersani parla dell’importanza delle radici dalla sua città natale, il suo predecessore rilancia il tema del ricambio delle classi dirigenti mettendo a disposizione il suo stesso seggio.
[ad]Bersani lo sapeva, l’ex sindaco di Roma gliel’aveva preannunciato diverso tempo fa, e d’altronde egli stesso da anni va ripetendo che “la ruota deve girare”: con un’enfasi diversa rispetto a Renzi (la comunicazione, si sa, non è il suo forte), già dal 2009, da quando si è candidato a segretario del Partito Democratico, ha legato la sua candidatura nazionale a quella di aspiranti segretari regionali coetanei del sindaco di Firenze ed alla promozione di “giovani d’esperienza” negli organismi del partito.
Il tema non è dunque nuovo, né tantomeno legato solo alla candidatura di Matteo Renzi alle primarie, ma il ricambio generazionale pare aver assunto una maggiore velocità nella giornata di ieri, con Castagnetti che ha annunciato anche il proprio ritiro e diversi quotidiani alla ricerca del parlamentare più longevo. In realtà tutta l’attenzione è per Massimo D’Alema, uno dei politici che più riesce a polarizzare l’opinione popolare nei suoi confronti: o lo si ama, o lo si odia. Devono amarlo non poco, quei settecento sottoscrittori di un appello, pubblicato da “l’Unità”, a che il presidente del Copasir si ricandidi, così come opposto deve essere il sentimento di chi vede in lui il primo dei rottamandi.
D’Alema d’altronde non riesce più come un tempo a far girare la giostra dell’informazione politica come ai “bei tempi”, quando poteva affermare con una buona dose di ragionevolezza che – almeno a sinistra – “capotavola è dove mi siedo io”. E sembra lui stesso in balìa delle vicende. Dalla polemica con Renzi, all’intenzione di non ricandidarsi mutata proprio per non darla vinta al sindaco, al passo indietro dell’amico-nemico Walter Veltroni, con cui ha convissuto politicamente per tutta la vita odiandosi cordialmente e che ora lo mette all’angolo nell’ultimo atto della sua carriera politica. “Mi candido solo se me lo chiede il partito”, una formula di rito che però è anche un’ultima sfida, per mostrare quanto ancora conta politicamente (sottintendendo “a Walter non l’ha chiesto nessuno”). La risposta – oggi – di Bersani, “io non glielo chiedo”, e la replica “ha ragione, decide il partito”, che è conforme a quanto detto dal segretario stesso, ma che rappresenta un nervosismo inedito per un politico che ha fatto dell’arguzia un tratto distintivo da rappresentare fisicamente con l’ormai celebre baffetto.
E’ difficile prevedere se e come D’Alema riuscirà ad uscire dall’angolo e ad imporre la sua visione, o se invece compirà uno dei passi falsi possibili: arroccarsi o accettare supinamente di farsi da parte, accreditando in entrambi i casi le teorie dei suoi detrattori.
Ma se il tema fosse solo la carriera politica di Massimo D’Alema, importerebbe poco. Il punto è la qualità del ricambio (o rottamazione, che dir si voglia), qualità che dipende anche dalla qualità del dibattito politico. Già una volta, una classe politica fu spazzata via e sostituita, senza che vi fosse un vero “cambiamento” nei costumi. E il risultato si vede, giorno dopo giorno.