Obama osa e vince, Romney bene sull’economia flop sulla Libia
[ad]Questo però non ha fatto slittare il governatore su posizioni di intransigenza sociale, di radicalismo conservatore degli inizi della campagna elettorale. “La mia filosofia delle tasse è semplice – ha detto il presidente in carica – voglio dare respiro alla classe media e ai piccoli imprenditori. Voglio far pagare di più i ricchi” prendendosela col piano fiscale di Romney, che prevederebbe meno tasse e la cancellazione del deficit di bilancio in soli 4 anni con una logica matematica al quanto dubbia. Qui, più che gli argomenti economici Romney ha fatto valere la sua telling story da governatore del Massachussetts, quando abbassò la pressione fiscale e al tempo stesso centrò il pareggio di bilancio e la sua biografia da businessman risanatore di aziende e salvatore delle olimpiadi di Salt Lake City. “La matematica è sempre tornata, è la mia vita”. È riuscito pure a disinnescare il quesito più spinoso per un repubblicano che deve accingersi a riconquistare la presidenza, le somiglianze con George W. Bush: “Siamo persone diverse e siamo in tempi diversi – ha affermato –. Ci separa il fatto che lui non ha realizzato il deficit di bilancio, ma con Obama è raddoppiato in questi 4 anni, inoltre sarò il campione delle piccole imprese”.
Risposte di leadership economica, compromesso dallo scivolone sulla Libia. Un momento inaspettato dal quale Romney ha cercato di opporre una carica patriottica in politica estera nel rapporto con la Cina, che gioca scorrettamente sui mercati e inganna con la sua moneta eternamente svalutata. Una manovra stoppata in partenza da Obama, che gli ha scaraventato l’addebito di essere stato un cattivo pioniere nel delocalizzare la produzione e i posti di lavoro ai tempi della sua attività manageriale alla Bain Capital proprio a Pechino e dintorni.