Regionali: chi sarà il vero vincitore?
In un articolo pubblicato nei giorni scorsi, il dott. Paolo Sospiro sosteneva l’impossibilità che il centrosinistra possa uscire vincitore dalle imminenti elezioni regionali del 28 e 29 marzo.
La sua tesi, per farla breve, poggiava su un assunto meramente statistico: dal momento che sulle 13 amministrazioni che andranno al voto ben 11 di queste sono attualmente governate dal centrosinistra, e dal momento che, secondo tutti gli istituti demoscopici, il centrodestra si appresta a vincere in almeno 3 o 4 di queste regioni, allora è praticamente impossibile che il centrosinistra avanzi rispetto alle scorse regionali, mentre è un dato quasi certo che il centrodestra compirà dei passi avanti. Ragionamento impeccabile, dal punto di vista meramente statistico, appunto. E infatti non è un mistero per nessuno che, rispetto all’incredibile risultato delle regionali 2005 (12 a 2 per il centrosinistra), vi sarà un riequilibrio nei rapporti di forza tra i due schieramenti.
[ad]Naturalmente questo è solo uno dei possibili punti di vista con cui sarà possibile interpretare i risultati delle prossime Regionali. Il paragone con la precedente tornata elettorale dello stesso tipo consente di fare il confronto più immediato, e di stabilire fin da subito chi ha guadagnato e chi ha perso. Ma le varie tipologie di elezioni (comunali, provinciali, regionali, nazionali, europee) non si susseguono fra loro in modo indipendente l’una dall’altra; ciascuna tornata va infatti inserita nell’ambito del contesto politico in cui viene a cadere; il trend elettorale si misura infatti dalla serie storica delle varie tornate elettorali che si succedono con cadenza quasi annuale, e il punto di riferimento più immediato in questo senso è l’elezione immediatamente precedente.
Anche sotto questo aspetto, le regionali del 2005 confermano la loro particolarità di “caporetto” del centrodestra: è vero infatti che il centrosinistra conquistò molte regioni precedentemente amministrate dal centrodestra (in tutta Italia: a Nord, Piemonte e Liguria; al Centro, Lazio e Abruzzo; al Sud, Puglia e Calabria); ma è vero altresì che solo dieci mesi prima, nel giugno del 2004, si era votato per le elezioni europee, che avevano visto i due schieramenti conseguire un risultato praticamente paritario: 45% sia per le liste che facevano riferimento alla Casa delle Libertà (in quel momento al governo) sia per le liste dell’Ulivo e dei suoi alleati, compresa Rifondazione comunista. Per le regionali del 2005, il centrosinistra propose candidati unitari in tutte le regioni, formando larghe alleanze dall’Udeur di Mastella ai comunisti di Rifondazione e Pdci (il prototipo di quella che sarà l’Unione alle Politiche dell’anno successivo): le stesse sigle che alle Europee avevano totalizzato poco più del 45% in tutta Italia, nel 2005 conseguirono oltre il 50% dei consensi – per l’esattezza il 52 – nelle 14 regioni al voto, mentre la Cdl rimaneva inchiodata al 44,8%. Naturalmente l’effetto più evidente della vittoria del centrosinistra fu il numero di regioni “vinte”, appunto 12 contro 2: ma questo effetto era figlio di una percentuale complessiva di oltre 7 punti maggiore rispetto a quella degli avversari, tanto più se si considera il pareggio conseguito solo un anno prima alle Europee.
Anche per queste Regionali avremo un precedente dello stesso tipo, cioè le elezioni europee svoltesi nel giugno dell’anno scorso. Europee che hanno visto sostanzialmente confermati i rapporti di forza emersi con le Politiche del 2008, con un centrodestra maggioritario (intorno al 47%), seppur in lieve flessione, un centrosinistra leggermente in crescita (poco oltre il 42%) e l’Udc “terzo polo” stabile. Anche secondo gli ultimissimi sondaggi prima dell’oscuramento questi valori rimanevano pressoché invariati, se mai con una lieve risalita del Pd a scapito dell’ Idv e dei partiti di sinistra.
Proprio il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, ha posto le Europee 2009 come pietra di paragone per poter giudicare il risultato delle Regionali 2010; e lo ha fatto fin dai primissimi giorni del 2010, quando, dovendo “giustificare” ai propri elettori la sua strategia fin lì tutta tesa ad un accordo con l’Udc, ripeteva che con le “attuali alleanze”, stando ai risultati delle Europee, il Pd avrebbe conservato solo 3 regioni. In realtà, questa affermazione era vera solo se si fosse fatta l’ipotesi che il Pd avesse corso in tutte le regioni alleandosi solo con Idv e Radicali. Ma confermando l’alleanza con i soggetti che attualmente sostengono le giunte regionali di centrosinistra (escluso ovviamente l’Udeur, passato col Pdl), quindi anche senza allargare l’alleanza all’Udc, il centrosinistra avrebbe conservato ben sei regioni: Toscana, Emilia-Romagna, Umbria, Marche, Basilicata e Calabria. Il ragionamento di Bersani mirava in sostanza a delegittimare la linea seguita dal suo predecessore Veltroni, che scelse appunto di presentare il Pd alle Politiche del 2008 alleato solo con Idv e Radicali: ma sotto la stessa segreteria Veltroni, le elezioni regionali che coinvolsero l’Abruzzo e la Sardegna, a cavallo tra fine 2008 e inizio 2009, videro il Pd correre in alleanza con quelli che erano stati i suoi alleati fino a quel momento: quindi Idv e Radicali, ma anche Rifondazione comunista, Verdi e socialisti, più il nascente movimento di sinistra facente riferimento a Vendola. La vera discriminante tra le due strategie era quindi la ricerca di un’alleanza anche con l’Udc.
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