Rottamare il Pdl, tutti contro la Santanché

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Rottamazione, ricambio, ramazze, lo slogan di questa stagione politica crepuscolare è per tutti quello di un bel repulisti con cui buttar via in un colpo una classe dirigente per sostituirla con un’altra migliore.

Per Beppe Grillo, l’obiettivo è semplice: mandare fuori tutti, nessuno escluso; per Maroni il rinnovamento è stato innanzitutto interno al partito, e poi sostanzialmente “tradizionale” (congressi nazionali, congresso federale, i suoi uomini ovunque al posto dei seguaci del Senatur, un cerchio magico spazzato via da un colpo secco di ramazza); Casini ha un progetto diverso, spazzar via non tanto le persone o le idee, quanto il bipolarismo muscolare che ha segnato, nel bene e nel male, la seconda repubblica.

 

[ad]Nel Pd la rottamazione è il cavallo di battaglia di Matteo Renzi, e nei giorni scorsi abbiamo più volte cercato di raccontare cosa avveniva nel partito alle prese con le primarie (ultimo aggiornamento: D’Alema metterebbe a disposizione il suo posto in lista nel caso le primarie le vincesse Bersani).

Nel Pdl il marchio del repulisti verrà invece registrato da Daniela Santanché, che negli ultimi due giorni si è ripetutamente scagliata contro “l’apparato”, definendolo “un cancro”.  Ce l’ha con tutti, in primis con Alfano, indicato come il primo dei dirigenti da mandare a casa. Il Pdl, secondo la passionaria imprenditrice, “non esiste più”, “è scaduto”, “non più conservabile”: il passo indietro di Berlusconi (l’unico che salva), doveva essere seguito da tutti i dirigenti, da Alfano in giù, per creare un partito nuovo  (“abbiamo un mercato elettorale che è la maggioranza nel paese, ma non abbiamo un prodotto”). Il punto più “controverso” delle tesi di Daniela Santanché è l’idea per la quale bisognerebbe mandar via chi sostiene il governo in carica, ma così facendo sconfessando lo stesso ex Premier: sono in molti, da Frattini a Quagliarello, a Giuliano Cazzola a contestare soprattutto questo punto, dicendosi pronti a lasciare il Pdl se questa linea prevalesse. Altre repliche sono arrivate da esponenti di spicco del Partito: Alfano l’ha definita “sfascista”, e ad Osvaldo Napoli, che l’accusa di non aver mai portato un voto al partito, fa eco Cicchitto, che l’accusa di voler distruggere il pdl senza costruire nulla.

Tutti i torti, però la Santanché non li ha. Scosso dalla caduta del Governo Berlusconi, dai guai di Formigoni, dalle vicende del Lazio, in effetti, il Pdl da mesi è in calo costante nei sondaggi, ormai raggiunto dal movimento di Beppe Grillo; un partito con poca o nulla elaborazione politica, dove anzi chi propone qualcosa lo fa non più per accreditarsi come successore del Cavaliere, ma piuttosto per uscire personalmente dal guado. Divisi tra faide interne (delle quali il caso Fiorito è l’emblema), montismo – antimontismo, “ex forzaitalia” – “ex an”, il partito guidato da Alfano pare ormai prossimo all’implosione, a meno che il Cav non torni in campo, smentendo la sua disponibilità a farsi da parte per ricreare il polo dei moderati. Ma questa eventualità è poco probabile, sembra semmai che a Berlusconi del PdL non importi più nulla, tentato com’è dall’idea di liberare gli istinti dei suoi seguaci in una moltitudine di micro sigle da federare sotto qualcosa di nuovo. L’ultima tentazione proposta al Cav la lista delle sorelle d’Italia  Micaela Biancofiore e Nunzia De Girolamo.