Qualche giorno fa, come da mia consuetudine serale, ho acceso la televisione aspettando l’appuntamento settimanale del programma “Знак оклику” (Exclamation mark). Il broadcaster del prodotto, realizzante inchieste giornalistiche sui temi caldi dell’agenda politica, è TBI, testata editoriale retta dall’uomo d’affari russo Konstantin Kagalovsky e unica a poter vantare la propria indipendenza nel serratamente controllato panorama televisivo ucraino. Il giornalista-conduttore che srotola il filo rosso delle inchieste si chiama Artem Shevchenko. Dopo aver passato, quindi, in rassegna la molteplice schiera di canali che la tv via cavo ucraina offre a chi acquista un pacchetto-base come il mio, l’ansioso zapping si è fermato al canale 32 dove mi è stato sintonizzato TBI. Con mia grande sorpresa, sullo schermo non scorreva l’affascinante sigla del format ma una schermata a tinte colorate su cui campeggiava la scritta “Канал не підтримується”, il canale non è supportato. Provando a risolvere il mistero di cotanta sentenza, ho rimosso i cavi del televisore e mi sono successivamente adoperato nella loro ricollocazione e nella ri-sintonizzazione delle frequenze dei canali. L’impietoso messaggio si ripresentava però in maniera identica.
[ad]TBI, essendo l’unica televisione indipendente in un paese in cui la tv rimane il principale mezzo di informazione, è stata oggetto di plurime indagini da quando, nel 2010, i supporter di Yanukovich si sono insediati al governo. Dall’estate del 2011, quando le è stata rifiutata la licenza di trasmissione digitale, la velata crociata governativa anti-TBI ha iniziato a definirsi. Il diniego digitale ha significato una riduzione della capacità di trasmissione della testata che ha visto la garanzia del suo broadcasting scendere dal 90% delle tv via cavo al 45%, generando così una distorsione nella concorrenza con le altre principali testate televisive (ancora garantite del 90% del broadcasting via cavo). Nel giugno 2010, un anno prima della (mancata) assegnazione delle licenze, la costante presenza di un’auto nel parcheggio degli studi di TBI venne denunciata dal direttore Mykola Kniazhytsky come tentativo, mai smentito, dell’SBU, i servizi segreti di Kiev, di monitorare le attività del gruppo. Ad aprile 2012 vennero poi inviate una serie di lettere presso i domicili di alcuni businessmen che, sposando l’indipendenza della linea editoriale, si adoperavano nel finanziamento delle spolpate tasche della testata.
Nessun processo indagò l’accaduto. L’unica condanna sentenziata furono gli appellativi, “bulli e teppisti”, con cui coraggiosamente il direttore Kniazhytsky apostrofò i mandanti e chiuse la vicenda. A luglio 2012 le brame censorie del governo Yanukovich provarono a cambiare obiettivo. Al fine di arrivare all’agognata chiusura della testata decisero di colpire il suo direttore. Kniazhytsky venne accusato di evasione fiscale, relativa alla testata, pari a 3 mln di UAH (375 mila dollari). Inutile dire che le pendenze caddero in un non nulla di lì a poco. Arrivando ai giorni nostri, e alla ragione per la quale il mio televisore diceva picche al mio desiderio di assistere all’intelligente programma tv, l’ultima mossa intrapresa da Yanukovich e dai collaborazionisti del settore delle telecomunicazioni assume una doppia direzione censoria. Da una parte, i censori che deliberatamente hanno oscurato il canale.
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[ad]Dall’altra i censori che lo hanno ricollocato, dandone una giustificazione di mercato, in pacchetti-tv più onerosi e quindi seguiti da una percentuale di pubblico inferiore. Circa l’80% dei provider via cavo ha deciso infatti di non offrire più il servizio di trasmissione o di offrirlo in maniera diversa a TBI. Ciò ha comportato un danno economico alla testata (l’audience è sceso da 13 a 9 mln di telespettatori) e un danno politico all’imparzialità della campagna elettorale (TBI, nel panorama elettoral-televisivo ucraino, era l’unica testata che offriva adeguato spazio all’opposizione). Il Consiglio Nazionale su Radio e Televisione, così come gli stessi operatori delle telecomunicazioni, respingendo al mittente le accuse di pressione politica, hanno giustificato la loro colpevole scelta sostenendo la presenza di “problemi tecnici nella trasmissione” o di “semplici ragioni di mercato”. Sembra fossero pronti anche ad addurre l’abusata scusa “mi è morto il gatto” ma, dopo un ripensamento, si sono convinti che ciò sarebbe stato troppo anche per chi ha più volte dimostrato di trattare l’indipendenza e la libertà dei media come un peccato da purgare.