Romney, il pareggio di bilancio per tornare a crescere
[ad]Un primo motivo per far storcere il naso a chi crede in principi di equità fiscale e assiste alla protezione della rendita finanziaria a fronte della spoliazione su vasta scala del lavoro dipendente. È l’abolizione dell’alternative minimun tax, però, a meritarsi la palma dell’intervento più controverso in materia di fisco, promesso da Romney. Introdotta da Nixon e inasprita da Clinton, l’Amt si inserisce nel sistema “patchwork” delle deduzioni e delle detrazioni fiscali, che consente anche ai più ricchi di abbattere notevolmente la base imponibile e pagare meno tasse di una famiglia di bassa condizione sociale. Ecco, l’imposta alternativa sterilizza l’eccesso di deduzioni e di detrazioni e stabilisce una soglia minima da pagare. Il ragionamento è immediato. È sano alimentare i consumi, va bene incentivare gli americani con deduzioni e detrazioni a spendere, permettere però ai ricchi – in relazione ad una maggiore disponibilità di denaro – di ottenere più benefici fiscali di un lavoratore della middle class sarebbe un intervento redistributivo al contrario. Esiste sia per le persone fisiche che per le corporation. Queste ultime avrebbero un ulteriore aiuto dal piano dei repubblicani con la riduzione dell’aliquota massima dal 35 al 25%. Le aziende non vedono tagli delle tasse dal 1988, gli anni reaganiani. Il costo politico in termini di giustizia sociale, abbiamo visto, potrebbe essere salato ma anche le casse federali potrebbero andare in sofferenza. Per centinaia di miliardi di dollari.
Come poi questo si concili col solenne impegno preso lo scorso 3 ottobre, nel primo duello televisivo, di non tagliare le tasse ai ricchi, è un mistero. Di fronte a domande precise Romney diventa inafferrabile quanto un’anguilla. Lascia irreparabilmente insoddisfattte le richieste di dettagli. Non spiega chiaramente quali deduzioni e detrazioni abolirà e quanto i tax cuts potranno conciliarsi col traguardo del pareggio di bilancio.
Nella diatriba macroeconomica che può scaturire, ad ogni modo, si impongono una volta di più le leggi ferree della comunicazione. “Sono disposto a cambiare il mio piano fiscale qualora mutassero le condizioni economiche” ha spiegato giovedì scorso, perché tornando al punto d’inizio la matematica è la vita di Romney. Un racconto indiscutibilmente frustrante per i giornalisti e per quella parte di elettorato americano interessata a capire – per poter esprimere un giudizio libero e critico – fino in fondo il programma economico, ma che nella battaglia per accaparrare voti decisivi sta avendo grande potenza d’attrazione. Perché parlare del super-manager che può salvare l’economia americana è più seducente che scendere in pedanti liste della spesa sulle singoli azioni da compiere una volta al governo.