Obama, bene l’occupazione male il deficit. I risultati di 4 anni di iniezioni keynesiane
[ad]A livello elettorale questo discorso brilla soltanto dinanzi agli occhi di metà del paese: il conflitto ideologico, al quale Obama mai si è sottratto ha spaccato in due la mela dell’opinione pubblica. Esprimendoci, invece, in termini strettamente economici il nervo scoperto dell’Obamanomics sono i rapporti deficit/Pil e debito pubblico/Pil. E in questo caso a preoccupare non è soltanto la promessa non mantenuta di dimezzare il disavanzo, che oggi viaggia sopra il trilione di dollari all’anno. Quanto il fatto che ogni intervento keynesiano arriva a maturazione nel breve-medio periodo, mentre nel lungo-lunghissimo presenta un conto molto salato per la finanza pubblica. Il lungo periodo è già in corso e con un indebitamento superiore al 100% lo spazio d’azione per politiche ulteriormente anticicliche non esiste. Dovesse ottenere la conferma degli americani per il 2016 dovrà decidere come riportare il deficit sotto controllo senza poter contare su un’impennata su livelli degni degli Stati Uniti della crescita economica.
Sulla politica fiscale il picco di gradevolezza per ideali di equità Obama lo raggiunge a proposito della Buffet rule. È del magnate della finanza, in effetti, la proposta di introdurre un’aliquota alternativa per fare in modo che ai ricchi sia prelevata almeno la stessa parte di reddito che alla middle class.
Sul resto l’impressione che si coglie leggendo le issues del suo programma è di un presidente in rincorsa verso il repubblicano, anche al costo di cadere in un affondo oramai rivelatosi privo di efficacia fra gli orientamenti degli elettori. Obama stavolta chiede il voto per tagliare la spesa pubblica di 4 trilioni nell’arco di un quinquennio, arrivando in zona pareggio di bilancio. Contestualmente accusa Romney di costare con i suoi tagli fiscali ai ricchi 5 trilioni. L’argomento si regge sugli sgravi fiscali generosi ai ricchi, negati però dal governatore del Massachusetts in entrambi i dibattiti televisivi. Un’arma spuntata a fronte di un candidato che finora ha trovato terreno tenero nel far notare che dopo anni di Keynes la Casa Bianca senza un cambiamento di tracciato potrebbe raggiungere ben presto la sponda di ingovernabilità per debiti della Grecia.