Secondo diversi analisti, e anche secondo il parere di svariati esponenti politici, il MoVimento 5 Stelle non è altro che un fenomeno transitorio, che rapidamente sparirà dalla scena italiana così come vi è apparso di prepotenza pochi anni fa. Secondo altri pareri, invece, la marcia della formazione grillina sarà inarrestabile e spazzerà via i cosiddetti partiti tradizionali, rivoluzionando il modo stesso di intendere la democrazia rappresentativa.
Non è raro che nel campo dell’analisi politica ci si avventuri nella previsione sulle possibilità di sopravvivenza di questo o quel partito, ma troppo spesso si tratta di affermazioni basate sull’empirismo, su semplici sensazioni o peggio ancora si tratta di tentativi di profezia autoavverante, in cui il solo fatto di aver previsto una cosa incrementa le probabilità che quell’evento si avveri.
[ad]In realtà, attingendo a piene mani da altre discipline, anche per i commentatori delle vicende politiche sarebbe possibile intraprendere un cammino rigoroso e scientifico in grado di arrivare a formulare regole di validità generale sulle fasi evolutive dei partiti politici, come diverse correnti di studiosi delle scienze politiche stanno già facendo: in primo luogo la matematica, linguaggio necessario ad ogni teoria scientifica, ma sicuramente anche la biologia, con i suoi studi sull’espansione e la contrazione delle popolazioni; non si deve trascurare neppure il marketing, in quanto il percorso di un partito politico non è solo un percorso di persone, ma anche e soprattutto un percorso di idee; e infine, naturalmente, la storia, attraverso la quale ricavare empiricamente tutti quegli esempi da cui poi estrapolare i dati necessari all’individuazione e alla codifica di regole generali.
Proprio quest’ultima disciplina consente, tramite il raffronto tra le dinamiche attuali e quelle del passato, di arrivare a formulare paragoni e similitudini che anche se non corredate da un formalismo matematico che ne attesti la validità e la veridicità, possono fornire interessanti indizi sullo stadio evolutivo di un partito e sulle fasi che attraverserà in futuro.
Prendendo a titolo di esempio il MoVimento 5 Stelle di cui così tanto si parla in questo momento, individuare validi metri di paragone potrebbe già consentire di formulare ipotesi più circostanziate di quanto possa offrire buona parte dei commentatori politici – e dei politici stessi.
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[ad]Il partito grillino nasce come forza di protesta e di opposizione, che proclama una guerra spietata ad una Casta dominante corrotta e promette un rinnovamento dei costumi e della morale; grazie al proprio attivismo miete consensi, conquista posizioni di comando in alcune realtà locali, e nel momento attuale mostra di avere un seguito del tutto paragonabile a quello degli esponenti della Casta che si propone di combattere.
In vista di appuntamenti elettorali importantissimi a livello locale – Sicilia, Lombardia, Lazio – e soprattutto dinanzi alle elezioni politiche del 2013, sono in molti a chiedersi fino a dove potrà arrivare il cammino del MoVimento.
Un esempio storico sufficientemente ricco di analogie da poter essere utilizzato come metro di paragone è indubbiamente quello dei movimenti cristiani di richiamo alla povertà che tra il XIII e il XIV secolo fiorirono in Europa. Tacciati spesso come eretici, perseguitati dall’ordine costituito, guidati da leader carismatici, questi movimenti si proponevano, ciascuno con le proprie sfumature, di riformare quando non addirittura abbattere l’autorità della Chiesa, richiamandola ai valori di sobrietà e integrità morale propri dell’insegnamento originale di Cristo.
Una summa delle vicende di tali movimenti, che ben si presta a capirne l’evoluzione nel tempo, è offerta dalle parole che lo scrittore Umberto Eco mette in bocca a Frate Guglielmo da Baskerville nel suo capolavoro IL NOME DELLA ROSA:
“Capisco sempre di meno.”
“Anch’io. Non sono buono a parlare in modo parabolico. Dimentica questa storia del fiume. Cerca piuttosto di capire come molti dei movimenti che hai nominato sono nati almeno duecento anni fa e sono già morti, altri sono recenti…”
“Ma quando si parla di eretici si nominano tutti insieme.”
“È vero, ma questo è uno dei modi in cui l’eresia si diffonde e uno dei modi in cui viene distrutta.”
“Non capisco di nuovo.”
“Mio Dio, come è difficile. Bene. Immagina che tu sia un riformatore dei costumi e raduni alcuni compagni sulla vetta di un monte, per vivere in povertà. E dopo un poco vedi che molti vengono a te, anche da terre lontane, e ti considerano un profeta, o un nuovo apostolo, e ti seguono. Vengono davvero per te o per quello che dici?”
“Non so, lo spero. Perché altrimenti?”
“Perché hanno udito dai loro padri storie di altri riformatori, e leggende di comunità più o meno perfette, e pensano che questa sia quella e quella questa.”
“Così ogni movimento eredita i figli degli altri.”
“Certo, perché vi accorrono in massima parte i semplici, che non hanno sottigliezza dottrinale. Eppure i movimenti di riforma dei costumi nascono in luoghi e modi diversi e con diverse dottrine. Per esempio si confondono sovente i catari e i valdesi. Ma vi è tra essi una grande differenza. I valdesi predicavano una riforma dei costumi all’interno della chiesa, i catari predicavano una chiesa diversa, una diversa visione di Dio e della morale. I catari pensavano che il mondo fosse diviso tra le forze opposte del bene e del male, e avevano costituito una chiesa in cui si distinguevano i perfetti dai semplici credenti, e avevano i loro sacramenti e i loro riti; avevano costituito una gerarchia molto rigida, quasi quanto quella della nostra santa madre chiesa e non pensavano affatto a distruggere ogni forma di potere. Il che ti spiega perché aderirono ai catari anche uomini di comando, possidenti, feudatari. Né pensavano di riformare il mondo, perché l’opposizione tra bene e male per essi non potrà mai essere composta. I valdesi invece (e con loro gli arnaldisti o i poveri lombardi) volevano costruire un mondo diverso su un ideale di povertà, per questo accoglievano i diseredati, e vivevano in comunità del lavoro delle loro mani. I catari rifiutavano i sacramenti della chiesa, i valdesi no, rifiutavano solo la confessione auricolare.”
“Ma perché allora vengono confusi e se ne parla come della stessa mala pianta?”
“Te l’ho detto, quello che li fa vivere è anche quello che li fa morire. Si arricchiscono di semplici che sono stati stimolati da altri movimenti e che credono che si tratti dello stesso moto di rivolta e di speranza; e sono distrutti dagli inquisitori che attribuiscono agli uni gli errori degli altri, e se i settatori di un movimento hanno commesso un delitto, questo delitto sarà attribuito a ciascun settatore di ciascun movimento. Gli inquisitori hanno torto secondo ragione, perché mettono insieme dottrine contrastanti; hanno ragione secondo il torto degli altri, perché come nasce un movimento, verbigratia, di arnaldisti in una città, vi convergono anche coloro che sarebbero stati o erano stati catari o valdesi altrove. Gli apostoli di fra Dolcino predicavano la distruzione fisica dei chierici e dei signori, e commisero molte violenze; i valdesi sono contrari alla violenza, e così i fraticelli. Ma sono sicuro che ai tempi di fra Dolcino convenirono nel suo gruppo molti che avevano già seguito la predicazione dei fraticelli o dei valdesi. I semplici non possono scegliersi la loro eresia, Adso, si aggrappano a chi predica nella loro terra, a chi passa per il villaggio o per la piazza. È su questo che giocano i loro nemici. Presentare agli occhi del popolo una sola eresia, che magari consigli al tempo stesso e il rifiuto del piacere sessuale e la comunione dei corpi, è buona arte predicatoria: perché mostra gli eretici un solo intrico di diaboliche contraddizioni che offendono il senso comune.”
“Quindi non vi è rapporto tra essi ed è per inganno del demonio che un semplice che avrebbe voluto essere gioachimita o spirituale cade nelle mani di catari o viceversa?”
“E invece non è così. Cerchiamo di ricominciate da capo, Adso, e ti assicuro che cerco di spiegarti una cosa sulla quale neppure io credo di possedere la verità. Penso che l’errore sia di credere che prima venga l’eresia, poi i semplici che vi si danno (e vi si dannano). In verità prima viene la condizione dei semplici, poi l’eresia.”
“E come?”
“Tu hai chiara la visione della costituzione del popolo di Dio. Un grande gregge, pecore buone, e pecore cattive, tenute a freno da cani mastini, i guerrieri, ovvero il potere temporale, l’imperatore e i signori, sotto la guida dei pastori, i chierici, gli interpreti della parola divina. L’immagine è piana.”
“Ma non è vera. I pastori combattono coi cani perché ciascuno dei due vuole i diritti degli altri.”
“È vero, ed è appunto questo che rende imprecisa la natura del gregge. Persi come sono a dilaniarsi a vicenda, cani e pastori non curano più il gregge. Una parte di esso ne rimane fuori.”
“Come fuori?”
“Ai margini. Contadini, non sono contadini perché non hanno terra o quella che hanno non li nutre. Cittadini, non sono cittadini perché non appartengono né a un’arte né ad altra corporazione, sono popolo minuto, preda di ciascuno. Hai visto talora nelle campagne gruppi di lebbrosi?”
“Sì, una volta ne vidi cento insieme. Deformi, con la carne in disfacimento e tutta biancastra, sulle loro stampelle, le palpebre gonfie, gli occhi sanguinanti, non parlavano né gridavano: squittivano, come topi.”
“Essi sono per il popolo cristiano gli altri, quelli che stanno ai margini del gregge. Il gregge li odia, essi odiano il gregge. Ci vorrebbero tutti morti, tutti lebbrosi come loro.”
“Sì, ricordo una storia di re Tristano che doveva condannare Isotta la bella e stava facendola salire sul rogo, e vennero i lebbrosi e dissero al re che il rogo era pena da poco e che ve n’era una peggiore. E gli gridarono: dacci Isotta che appartenga a tutti noi, il male accende i nostri desideri, dalla ai tuoi lebbrosi, guarda, i nostri stracci sono incollati alle piaghe che gemono, lei che accanto a te si compiaceva delle ricche stoffe foderate di vaio e dei gioielli, quando vedrà la corte dei lebbrosi, quando dovrà entrare nei nostri tuguri e coricarsi con noi, allora riconoscerà davvero il suo peccato e rimpiangerà questo bel fuoco di rovi!”
“Vedo che per essere un novizio di san Benedetto hai delle curiose letture,” motteggiò Guglielmo, e io arrossii, perché sapevo che un novizio non dovrebbe leggere romanzi d’amore, ma tra noi giovanetti circolavano al monastero di Melk e li leggevamo a lume di candela di notte. “Ma non importa,” riprese Guglielmo, “hai capito cosa volevo dire. I lebbrosi esclusi vorrebbero trascinare tutti nella loro rovina. E diverranno tanto più cattivi quanto più tu li escluderai, e quanto più tu te li rappresenti come una corte di lemuri che vogliono la tua rovina, tanto più loro saranno esclusi. San Francesco capì questo, e la sua prima scelta fu di andare a vivere tra i lebbrosi. Non si cambia il popolo di Dio se non si reintegrano nel suo corpo gli emarginati.”
“Ma voi parlavate di altri esclusi, non sono i lebbrosi a comporre i movimenti ereticali.”
“Il gregge è come una serie di cerchi concentrici, dalle più ampie lontananze del gregge alla sua periferia immediata. I lebbrosi sono segno dell’esclusione in generale. San Francesco l’aveva capito. Non voleva solo aiutare i lebbrosi, ché la sua azione si sarebbe ridotta a un ben povero e impotente atto di carità. Voleva significare altro. Ti han raccontato della predica agli uccelli?”
“Oh sì, ho sentito questa storia bellissima e ho ammirato il santo che godeva della compagnia di quelle tenere creature di Dio,” dissi con gran fervore.
“Ebbene, ti hanno raccontato una storia sbagliata, ovvero la storia che l’ordine sta oggi ricostruendo. Quando Francesco parlò al popolo della città e ai suoi magistrati e vide che quelli non lo capivano, uscì verso il cimitero e si mise a predicare a corvi e a gazze, a sparvieri, a uccelli di rapina che si cibavano di cadaveri.”
“Che cosa orrenda,” dissi, “non erano dunque uccelli buoni!”
“Erano uccelli da preda, uccelli esclusi, come i lebbrosi. Francesco pensava certo a quel verso dell’Apocalisse che dice: ho visto un angelo, levato nel sole, gridare con voce forte e dire a tutti gli uccelli che volavano nel sole, venite e radunatevi tutti al gran banchetto di Dio, mangiate la carne dei re, la carne dei tribuni e dei superbi, la carne dei cavalli e dei cavalieri, la carne dei liberi e degli schiavi, dei piccoli e dei grandi!”
“Dunque Francesco voleva incitare gli esclusi alla rivolta?”
“No, questo furono semmai Dolcino e i suoi. Francesco voleva richiamare gli esclusi, pronti alla rivolta, a far parte del popolo di Dio. Per ricomporre il gregge bisognava ritrovare gli esclusi. Francesco non c’è riuscito e te lo dico con molta amarezza. Per reintegrare gli esclusi doveva agire all’interno della chiesa, per agire all’interno della chiesa doveva ottenere il riconoscimento della sua regola, da cui sarebbe uscito un ordine, e un ordine, come ne uscì, avrebbe ricomposto l’immagine di un cerchio, al cui margine stanno gli esclusi. E allora capisci, ora, perché ci sono le bande dei fraticelli e dei gioachimiti, che raccolgono intorno a loro gli esclusi, ancora una volta.”
“Ma non stavamo parlando di Francesco, bensì di come l’eresia sia il prodotto dei semplici e degli esclusi.”
“Infatti. Parlavamo degli esclusi dal gregge delle pecore. Per secoli, mentre il papa e l’imperatore si dilaniavano nelle loro diatribe di potere, questi hanno continuato a vivere ai margini, essi i veri lebbrosi, di cui i lebbrosi sono solo la figura disposta da Dio perché noi capissimo questa mirabile parabola e dicendo «lebbrosi» capissimo «esclusi, poveri, semplici, diseredati, sradicati dalle campagne, umiliati nelle città». Non abbiamo capito, il mistero della lebbra è rimasto a ossessionarci perché non ne abbiamo riconosciuto la natura di segno. Esclusi com’erano dal gregge, tutti costoro sono stati pronti ad ascoltare, o a produrre, ogni predicazione che, richiamandosi alla parola di Cristo, in effetti mettesse sotto accusa il comportamento dei cani e dei pastori e promettesse che un giorno essi sarebbero stati puniti. Questo i potenti lo capirono sempre. La reintegrazione degli esclusi imponeva la riduzione dei loro privilegi, per questo gli esclusi che assumevano coscienza della loro esclusione andavano bollati come eretici, indipendentemente dalla loro dottrina. E costoro, dal canto loro, accecati dalla loro esclusione, non erano interessati veramente ad alcuna dottrina. L’illusione dell’eresia è questa. Ciascuno è eretico, ciascuno è ortodosso, non conta la fede che un movimento offre, conta la speranza che propone. Tutte le eresie sono bandiera di una realtà dell’esclusione. Gratta l’eresia, troverai il lebbroso. Ogni battaglia contro l’eresia vuole solamente questo: che il lebbroso rimanga tale. Quanto ai lebbrosi cosa vuoi chiedere loro? Che distinguano nel dogma trinitario o nella definizione dell’eucarestia quanto è giusto e quanto è sbagliato? Suvvia Adso, questi sono giochi per noi uomini di dottrina. I semplici hanno altri problemi. E bada, li risolvono tutti nel modo sbagliato. Per questo diventano eretici”.
“Ma perché taluni li appoggiano?”
“Perché servono al loro gioco, che di rado riguarda la fede, e più spesso la conquista del potere.”
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Con una visione forse nichilista, Eco condanna al fallimento questi movimenti, individuando tre cause principali per motivarne la sconfitta.
[ad]La prima riguarda, indubbiamente, il potere costituito. La Chiesa ha sempre avversato i movimenti di riforma, sopprimendoli sfruttanto l’ascendente che nel periodo medievale l’autorità ecclesiastica poteva vantare sul potere politico – e quindi militare. L’esempio, narrato nel libro stesso di Eco, di Fra Dolcino è forse uno dei casi più significatici di questo fenomeno, e al potere politico propriamente detto non bisogna dimenticare di affiancare l’inquisizione.
Oggi, naturalmente, non sarebbe più possibile una persecuzione ed una eliminazione fisica degli esponenti di una corrente di pensiero, ma è possibile interpretare come autodifesa della “Casta” quelle azioni legislative volte a impedire o comunque rendere più difficile l’accesso al potere da parte di altre formazioni politiche.
Così come nel caso della persecuzione fisica, è la massa critica del movimento a determinare l’esito di questa forma di deterrente: nel caso del MoVimento 5 Stelle, le percentuali di consenso raggiunte, sia a livello locale sia a livello nazionale, mettono relativamente al sicuro la formazione grillina da un epilogo repressivo di questo genere.
La seconda delle ragioni di possibile fallimento di un movimento di riforma, spesso usata come arma nella persecuzione fisica e politica ma valida anche in se stessa, è la compenetrazione tra i movimenti: come narra Eco, non era raro trovare dolciniani al seguito dei valdesi, catari assieme ai flagellanti, patarini assieme agli umiliati. Per i poveri, i cosiddetti “semplici”, qualsiasi movimento di protesta era fonte di attrazione, e spesso i dispersi di un’eresia soppressa finivano con l’aggregarsi ad un altro movimento.
Tutto ciò forniva buon gioco agli inquisitori, in grado di presentare l’eresia come un unico mostro a più teste, in grado di proporre tutto ed il contrario di tutto; da un lato diventava più facile contrastare un movimento accusandolo di posizioni dottrinali assolutamente non sostenute ma proprie di altre correnti in cui in passato ne militavano gli esponenti, e dall’altro era più difficile per un qualsiasi movimento riformatore, così impregnato di persone delle più disparate provenienze, assumere una forma ed una direzione coerenti.
Anche oggi una situazione analoga, con i dovuti accorgimenti, è possibile. Sebbene una più efficiente diffusione dell’informazione abbia drasticamente ridotto le correnti di pensiero, i transfughi ed i camaleonti della politica sono figure tristemente numerose, e la loro semplice presenza in un partito può da un lato fungere da deterrente per i potenziali elettori, e dall’altro ne può condizionare in maniera anche rilevante l’azione politica.
Il MoVimento 5 Stelle, sotto questo aspetto, pare aver tenuto in debita considerazione le lezioni impartite dalla storia, e con un atteggiamento di chiusura piuttosto estremo è riuscito con rare eccezioni a proporre candidati sempre privi di esperienze politiche presso altri partiti.
Al tempo stesso, la dittatura di pensiero da parte della coppia Grillo / Casaleggio riesce a fornire una linea incontrastata al partito mettendolo al riparo delle inevitabili deviazioni che nuovi simpatizzanti provenienti da altre formazioni politiche tendono a imporre… si può anzi dire che il MoVimento Cinque Stelle viva in questo momento proprio il problema opposto, un problema di democrazia interna e di scarsa rappresentatività dei militanti.
L’ultimo tema sollevato da Eco è forse il più insidioso, e viene affrontato esaminando il successo avuto dal francescanesimo. Divenuto troppo potente e popolare per essere affrontato frontalmente, è stato canonizzato dalla Chiesa, incanalato in un ordine costituito. Questa sua cristallizzazione ne ha vincolato i movimenti, rendendolo meno vicino alle istanze della gente comune, con il risultato che, pur drenando parte del malcontento fino a quel momento sciolto in mille rivoli eretici, si è alla lunga dimostrato incapace di svolgere al meglio la sua funzione riformatrice, perdendosi in mille compromessi formali spesso nemmeno compresi dai semplici fedeli.
Questo, al momento, pare più di ogni altro il vero rischio per il MoVimento 5 Stelle: una istituzionalizzazione politica che ne inaridisca il percorso di rinnovamento della politica che oggi costituisce la sua ragione di essere.
Paradossalmente, è proprio la vittoria politica, la discesa dall’assolutismo di un‘opposizione intransigente alla quotidianità del governo, la continua e costante mediazione da ricercare tra forze sociali contrapposte, che rischia di ingessare e far perdere al MoVimento la sua stessa ragione di essere, impedendogli di convogliare quel malcontento sociale che oggi sa intercettare così bene e frammentandolo in mille rivoli sotterranei più o meno agitati e violenti – fino a che non nascerà una nuova forza in grado di raccogliere, ancora una volta, gli emarginati della politica.
Ad oggi, il maggior nemico del MoVimento 5 Stelle, come sta anche insegnando l’esperienza di governo a Parma, rischia di essere il suo stesso successo.