Referendum: pro e contro

Pubblicato il 10 Maggio 2009 alle 22:05 Autore: Salvatore Borghese
settimana politica

[ad]6) Dicevamo che l’intento dei referendari era quello di ridurre la frammentazione consegnando ad una lista le “chiavi” della maggioranza parlamentare e quindi di un governo potenzialmente molto più stabile rispetto a quelli visti in passato. L’intento è nobile, ma destinato a rimanere deluso, almeno in parte. Infatti, non esiste una legge che obblighi le liste elettorali ad essere espressione di un determinato partito realmente esistente; la legge attuale infatti parla di “liste” o “coalizioni di liste”, ed il referendum può intervenire solo abrogando parti di legge; non può intervenire anche sostituendo la dicitura “liste” con la più appropriata “liste di partito”, come sarebbe opportuno. Non c’è dubbio infatti che, stanti così le cose, una vittoria del referendum spingerebbe i partiti, o almeno alcuni, a formare listoni che comprendano più partiti pronti a dividersi nuovamente una volta eletti in Parlamento; la chiave di volta sta nella disponibilità maggiore o minore dei partiti di fondersi in liste uniche, rinunciando così al loro simbolo, o comunque come minimo “inquinandolo”. Sarebbe sensato proporre un listone di centrosinistra sul modello della vecchia Unione, con dentro dai teodem ai vendoliani, con un proprio simbolo che accantonerebbe quello del Pd? Naturalmente no, anche se è possibile. Accetterebbe la sinistra radicale di far correre i suoi candidati sotto il solo simbolo del Pd? Alcuni forse sì, altri decisamente no. Lo potrebbe accettare Di Pietro? A parole fondersi nel grande soggetto di centrosinistra che dovrebbe essere il Pd è lo scopo “ultimo e definitivo” del suo partito/movimento, ma nei fatti sarebbe disposto a farlo perché “costretto” dalla legge elettorale? E per venire al campo di centrodestra, di certo non si può credere che Casini possa lasciarsi facilmente “assorbire” da Berlusconi come è successo a Fini. Né è facile credere che possa farlo la Lega, che del Cavaliere pure è fedele alleata, ma il cui senso di “identità”, così come quello dei suoi elettori, è uno dei più forti che ci siano tra i partiti italiani; senza contare che la Lega viaggia ormai su percentuali che le consentirebbero di superare qualsiasi sbarramento anche correndo da sola: se i leghisti sono contrarissimi a questo referendum non è perché temano di non riuscire a superare gli sbarramenti, ma perché Berlusconi non avrebbe più bisogno di loro per vincere le elezioni e governare, e quindi verrebbe meno il loro “potere di ricatto”. Che poi è esattamente il motivo per cui questo referendum crea tanti mal di pancia tanto nei partiti a sinistra del Pd come a pezzi importanti dell’Idv. Quest’ultima critica, quindi, si dimostrerebbe fondata se si verificasse, come è del resto plausibile, una corsa all’aggregazione forzosa in listoni “pigliatutto”.

 

Salvatore Borghese

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Salvatore Borghese