Quattro anni di reclusione, cinque di interdizione dai pubblici uffici. La condanna sentenziata dal Tribunale di Milano nei confronti dell’ex Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, cade sul finire di una settimana in cui il centrodestra ha dato evidenti segni di ritrovata vitalità, nel bene e nel male, dopo mesi in cui il Pdl saliva agli onori delle cronache solo a causa delle vicende ben note che hanno riguardato il consiglio regionale del Lazio e la Giunta della Lombardia.
La sentenza relativa al processo Mediaset è arrivata infatti a soli due giorni dalla decisione del Cavaliere di farsi da parte “per amore dell’Italia” e di indire primarie per decidere i destini del centrodestra, ma anche il giorno dopo la presentazione del manifesto di Montezemolo, con il quale il Presidente della Ferrari intende ricostruire il campo del centro. Ma andiamo con ordine.
[ad]Subito dopo la decisione di Berlusconi di non ricandidarsi a Premier, le diverse anime in lotta che compongono il Popolo delle Libertà hanno colto l’occasione per dare la propria disponibilità a partecipare alle primarie di metà dicembre per la scelta del candidato a Palazzo Chigi, trasformando quella che fino al giorno prima era una lotta distruttiva tra i vari Alfano, Alemanno, Santanché, Biancofiore, ed altri ancora, in una competizione che sarebbe potuta servire a dare un’immagine positiva del Pdl come un soggetto che tornava – dopo mesi – all’elaborazione politica. Avevano dato la loro disponibilità Galan, ex governatore del Veneto, rappresentante dell’anima liberal – forzitaliota dell’universo berlusconiano; la stessa Santanché, rappresentativa della destra più oltranzista, contraria al governo Monti al punto di proporre la non ricandidabilità per chi gli ha votato la fiducia (sostanzialmente gli interi gruppi parlamentari, di cui lei non fa parte); Alessandra Mussolini, anche lei afferente – e ci mancherebbe – alla destra pidiellina, ma rivale di lunga data della Santanché; naturalmente Alfano, dietro al quale si sarebbe ricompattato il nucleo dirigente della formazione berlusconiana. In dubbio Alemanno, o chi per lui (Giorgia Meloni, per esempio), il cui ruolo sarebbe stato quello che nel Pd si è ricavato Matteo Renzi, ovvero del rivale con probabilità di vittoria non velleitarie (non ce ne voglia la Santanché): lo stesso capogruppo in Senato Gasparri si era augurato candidature in grado di accendere l’entusiasmo come sta avvenendo nel fronte opposto.
E se Alfano provava nuovamente ad aprire al centro, invitando tutti coloro i quali si ritengono alternativi alla sinistra a partecipare alle primarie per i moderati, Montezemolo ieri – come si diceva – lanciava il suo manifesto per la terza repubblica, ispirando le riforme di cui si farebbe promotore all’esperienza del governo in carica, in grado di rilanciare l’imprenditorialità italiana. Che Montezemolo sarebbe sceso in campo lo si sa da mesi, ma è probabile che l’improvvisa accelerazione – che ha colto di sorpresa anche Oscar Giannino, da molti dato per sodale del manager confindustriale – sia determinata anche dalla mossa di Berlusconi: il rischio di perdere il treno è stato effettivamente alto.
Ma quanto è successo in queste ore rischia di offuscare tutto questo. Santanché e Galan hanno chiesto al Cavaliere di ripensarci e tornare sulla scena, Casini non commenta e Alfano e Cicchitto parlano di accanimento giudiziario. Vedremo se il rinnovamento avrà luogo ugualmente e se il Pdl riuscirà lo stesso ad invertire il trend fortemente negativo che tutti i sondaggi registrano da settimane.