Piccola premessa. La conferenza stampa di ieri dell’ex premier Silvio Berlusconi è nata da un moto di rabbia repressa dell’interessato verso quella giustizia che, secondo lui, lo perseguita da quando è sceso in campo per evitare che i comunisti conquistassero il potere. Una conferenza che poi è sfociata in uno sfogo contro la Germania, colpevole (secondo il Cav) della crisi economica che ha investito l’Europa e l’attuale presidente del Consiglio, Mario Monti, etichettato come un mero esecutore delle riforme “recessive” varate a Berlino. Riflessioni che il Cavaliere faceva da tempo e confidava a pochi intimi nonostante le dichiarazioni di facciata dell’ultima settimana che lo vedevano tra i primi sostenitori di un Monti bis. In realtà quelle parole di stima verso il Professore erano dettate da contingenze interne al partito, il Pdl, spaccato al suo interno tra “colombe” e “falchi”. Infatti Berlusconi leggeva sotto dettatura le parole scritte da Alfano e quella cerchia di dirigenti che volevano e vogliono un rassemblement con i moderati. Un’unione possibile solo con il passo indietro del Cav.
[ad]Detto questo, l’unica parte che si può condividere dello sfogo di Berlusconi, è quella dedicata alla riforma della seconda parte della Costituzione. Quella per intendersi, che descrive l’architettura e l’ordinamento della Repubblica italiana. E Berlusconi, nella conferenza stampa di ieri, ha descritto bene la tortuosa strada che deve intraprendere una legge varata dal governo. Una via crucis lunghissima che stravolge qualsiasi testo preparato dal governo. Legge che deve passare prima per le commissioni parlamentari e poi continuare il suo percorso alla Camera per poi approdare al Senato e infine arrivare sul tavolo del Presidente della Repubblica. L’iter è pieno di insidie, tra emendamenti, modifiche in sede di Commissione e profili di incostituzionalità. Alla fine, e ne abbiamo un esempio lapalissiano proprio in questi giorni con il dl di Stabilità, il disegno di legge che verrà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale avrà poco o niente a che fare con quello pensato dall’esecutivo.
Tutti questi passaggi e lungaggini parlamentari sono lesivi all’azione di un governo qualunque esso sia. Un esecutivo, con questa burocrazia imperante, non riesce a culminare una vera riforma, sia essa giudiziara, finanziara o sociale. Per questo in Italia è difficile smuovere lo status quo. Troppi corporativismi, troppi interessi personali in gioco che frenano l’azione riformatrice di qualsiasi governo. Per cambiare l’Italia servirebbe quindi la modernizzazione, non la cancellazione, della seconda parte della Costituzione. Una parte che era stata scritta dai padri costituenti alla fine della seconda guerra mondiale e che aveva come obiettivo quello di evitare l’ascesa di un altro Mussolini. Un gesto giustificato dalle contingenze storiche ma che alla lunga si è rivelato un’arma a doppio taglio.