Davvero “le liste bloccate non si risolvono con le primarie”? TP risponde al professor Villone
Davvero “le liste bloccate non si risolvono con le primarie”? TP risponde al professor Villone
Giovedì scorso, 11 giugno, si è tenuto a Napoli un incontro pubblico con protagonisti principali Massimo Villone (costituzionalista, ex senatore PDS-DS) e Giovanni Guzzetta (presidente del comitato promotore del referendum elettorale). Oggetto dell’incontro, e del successivo dibattito, il referendum che si terrà il prossimo 21 giugno, che si propone di abrogare alcune parti della legge elettorale vigente.
[ad]A quell’incontro ero presente come “inviato” del Termometro Politico allo scopo di intervistare il professor Guzzetta (intervista che, come abbiamo comunicato ai lettori del TP, siamo stati costretti a rinviare). Dopo gli interventi iniziali dei relatori, è stata data la possibilità al pubblico di porre delle domande. La mia domanda si è rivolta principalmente al professor Villone il quale aveva affermato che, in caso di vittoria del referendum, i partiti minori avrebbero aggirato facilmente il divieto di formare coalizioni. Come? Formando liste unitarie, sul modello dell’Ulivo (o, per usare un paragone più attuale, sul modello di Sinistra l’arcobaleno o Sinistra e Libertà). Ma, a differenza di come accadrebbe oggi, sostiene Villone, gli elettori non potrebbero stabilire i rapporti di forza tra i vari partiti della coalizione attraverso il loro voto, perché la composizione delle liste del soggetto unitario sarebbe affare dei segretari dei partiti alleati intorno a un tavolo, magari chiusi in uno studio di un palazzo romano.
Ora, è vero che il referendum, non potendo sostituire alla dicitura “liste” – presente nell’attuale legge – la più specifica (e vincolante) “liste di partito”, lascia effettivamente aperta questa possibilità di aggirare lo scoglio del divieto di coalizione. Ma, ho obiettato al professore, esiste un metodo estremamente semplice per far sì che siano gli elettori a stabilire la composizione (e l’ordine con cui sono disposti i candidati) delle liste, ossia le primarie. Se fingessimo che le preferenze prese dai candidati alle scorse europee siano state preferenze per questo tipo di primarie, alle prossime politiche avremmo avuto, tanto per fare un esempio, una Debora Serracchiani capolista per il Pd nella circoscrizione Friuli per la Camera dei Deputati, o un Sassoli capolista nella circoscrizione Lazio 1 (provincia di Roma); le liste rimarrebbero liste bloccate, ma i candidati sarebbero stati scelti dagli elettori precedentemente. Va da sé che la costituzione di un “listone” di centrosinistra che abbia come nucleo principale il Partito democratico per delle elezioni politiche in cui si dovesse usare la legge che uscirebbe dal referendum (il guzzettum), sarebbe molto probabilmente affidata a questo metodo, cioé le primarie, che nel campo del centrosinistra hanno più volte dimostrato, in passato, di mobilitare milioni dei loro elettori. Il professore ha inteso che io mi riferissi ai collegi uninominali, affermando che per scegliere un candidato unico le primarie non avrebbero fatto altro che sancire la vittoria dei candidati del partito relativamente più forte, e quindi secondo lui dalle primarie darebbero usciti candidati solo del Pd; ma gli ho ricordato che mi riferivo alle attuali liste bloccate, e all’eventualità che i voti alle primarie stabilissero piuttosto l’ordine con cui i candidati dei vari partiti alleati dovessero trovare posto nella lista bloccata del soggetto unitario. Anche questa eventualità è apparsa non valida al professor Villone, il quale, sostenendo che le primarie sono “una farsa”, ha ribattuto che “i primi 15 della lista in ogni circoscrizione sarebbero tutti del Pd”, con tanti saluti alla rappresentanza delle altre forze.
Ora, vorremmo dimostrare (scientificamente) che il professor Villone si sbagliava. Non solo e non tanto perché le primarie nel centrosinistra, almeno quelle effettuate per determinate realtà locali, hanno dato spesso grandi sorprese (Vendola eletto candidato presidente per la Puglia nel 2005, appoggiato formalmente dalla sola Rifondazione contro tutto il resto del centrosinistra; o Renzi, eletto candidato sindaco di Firenze contro la maggioranza dell’apparato del Pd). Quanto piuttosto perché, nell’accezione a cui facevo riferimento, le primarie premierebbero i candidati più votati a prescindere dall’appartenenza partitica, e dunque – capacità della lista permettendo – darebbero certamente spazio ai candidati più popolari anche dei partiti minori.
Per dimostrare questa ipotesi, ho fatto un esperimento: ho contato le preferenze di tutti i candidati di 3 partiti di centrosinistra alle europee (Partito democratico, Italia dei valori, Sinistra e libertà) che, per ipotesi, si “coalizzerebbero” per formare un listone di centrosinistra alle prossime elezioni politiche; per ogni singola circoscrizione per la Camera dei Deputati (27 circoscrizioni) ho contato le preferenze prese dai candidati, e li ho disposti secondo quest’ordine. Quello che ho ottenuto è un insieme di 27 liste circoscrizionali composte per più della metà di candidati “ex Partito democratico”, e per la parte restante di candidati “ex Idv” ed “ex Sel” in un rapporto di 2:1 a vantaggio dei candidati Idv. I rapporti di forza sono ben giustificati dal fatto che si sta parlando di partiti che hanno preso percentuali di voto molto diverse tra loro alle scorse europee (potete vederle riassunte nelle nostre tabelle laterali).
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