Finlandia, alle Comunali vincono l’astensionismo e l’antieuropeismo
Sono cresciuti, è vero. Sono gli unici ad aver aumentato i consensi rispetto a quattro anni fa, è vero. Eppure si fatica a considerare i Veri Finlandesi come i vincitori delle ultime elezioni comunali. Perché il partito di Timo Soini ha più che raddoppiato i voti rispetto al 2008, sì, ma i sondaggi delle scorse settimane non hanno trovato conferma. I Veri Finlandesi crescono ma non sfondano.
[ad]I numeri, allora. Il voto di domenica scorsa dice che il Partito di Coalizione Nazionale del premier Katainen è ancora la prima forza del paese con il 21,9%. Seguono i socialdemocratici al 19,6%. Terza posizione per il Partito di Centro, al 18,7%. Tocca poi ai Veri Finlandesi che raccolgono il 12,3%. Staccati la Lega Verde (8,5%), l’Alleanza di Sinistra (8%), il Partito Popolare Svedese (4,7%) e i Cristiano Democratici (4,2%).
Rispetto al 2008 tutti i partiti hanno perso qualcosa. Due eccezioni: il Partito Popolare Svedese (stessa performance di quattro anni fa) e i Veri Finlandesi. Che passano dal 5,4% al 12,3%. Un bel salto, non c’è che dire, eppure siamo almeno tre-quattro punti indietro rispetto a quanto era stato pronosticato. E alla fine tutto il discorso si riduce a un paio di spunti: il Partito di Centro ha perso meno di quanto ci si aspettava; i Veri Finlandesi sono cresciuti meno di quanto ci si aspettava.
Il partito di Timo Soini doveva essere il grande protagonista, infatti. Lo è stato solo in parte. Sin dall’estate quella dei Veri Finlandesi era sembrata una marcia inarrestabile. I sondaggi suggerivano risultati intorno al 15-16%, in pratica un numero di consensi tre volte superiore a quello ottenuto quattro anni fa. La crescita c’è stata ed è stata evidente, ma siamo lontani dai traguardi preannunciati.
L’aumento dei consensi nei confronti dei Veri Finlandesi, secondo Tuomo Martikainen, docente di scienze politiche all’Università di Helsinki, negli ultimi anni è stata condizionata anche dalla generale disillusione degli elettori nei confronti della politica. Una disillusione che c’è e che domenica scorsa ha trovato conferma, ma più che giovare al partito di Timo Soini ha avuto un effetto più ovvio: tenere la gente lontano dalle urne. Ha votato il 58,2% degli aventi diritto, in calo rispetto al 61,2% di quattro anni fa, e questo nonostante una campagna elettorale accesa e ricca di temi. Per trovare un’affluenza più bassa bisogna tornare indietro al 2000. Gli indecisi sono stati tanti, tantissimi. Un terzo dei finlandesi, ha scritto il quotidiano Helsingin Sanomat, ha avuto le idee poco chiare sino all’ultimo. Molti si sono avvicinati all’appuntamento elettorale con un paio di dubbi non da poco: chi votare e se andarci, a votare. In pratica i Veri Finlandesi hanno intercettato solo una fetta di questo ‘malessere’, mancando quel colpaccio sul quale molti erano pronti a giurare.
Chi invece sembrava destinato a incassare una sicura sconfitta era il Partito di Centro. Ma anche in questo caso i numeri virtuali e i numeri reali alla fine sono stati molto diversi. Uno degli ultimi sondaggi piazzava i centristi al 16,9% (era stato 20,1% nel 2008), in pratica preannunciando un tonfo rumoroso. L’esito delle urne dice altro. Il partito ha raccolto il 18,7%, piazzandosi a meno di un punto di distanza dai socialdemocratici. Juha Sipilä, leader del partito, non ha nascosto la soddisfazione: “È andata meglio dei migliori sondaggi”. E ha ragione, considerato pure che alle elezioni parlamentari dell’anno scorso il partito aveva preso il 15,8%.
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[ad]Le sorprese sono queste. Il resto è andato più o meno secondo previsione. Nessun ribaltone dell’ultimo minuto. I laburisti non sono stati in grado di insidiare il Partito di Coalizione Nazionale, nonostante tra i due il divario sembrava essersi assottigliato a ridosso del voto. In uno degli ultimissimi sondaggi condotto dalla Gallup e pubblicato dall’Helsingin Sanomat, i due maggiori partiti erano dati appaiati: 20,7% per i conservatori, 20% per i laburisti. Qualcuno aveva azzardato un sorpasso. Che non c’è stato: “Alla fine le cose non sono andate così bene come avevamo sperato” ha dichiarato Jutta Urpilainen, leader dei socialdemocratici. Parole diverse quelle spese dal premier Katainen: “La gente ha dimostrato in queste elezioni che i valori che rappresentiamo sono quelli di cui si ha bisogno quando si vuole costruire il futuro”.
Il governo ne esce sostanzialmente bene. Perché se è vero che erano elezioni locali, la situazione economica – nazionale e internazionale – ha condizionato l’esito delle urne. La disoccupazione in Finlandia è leggermente aumentata rispetto all’anno scorso: da 6,9% a 7,1%. Una variazione minima, ma comunque in crescita. Peggio va ai giovani: come scritto dall’Yle pochi giorni fa, oltre il 10% degli under 25 è senza impiego. A temi come questi si sono aggiunti il dibattito sull’assistenza sanitaria, sui servizi sociali, sulle tasse, sulla carenza di finanze a disposizione dei comuni. Tutto condizionato dal quadro economico internazionale. Sullo sfondo – ma neanche tanto – c’è infatti la crisi dell’euro: a riprova che quest’anno in Finlandia argomenti locali e non solo si sono mescolati per bene. Secondo un sondaggio, una buona metà degli elettori ha fatto la propria scelta pensando anche alle incertezze della moneta unica e ai piani di salvataggio per i paesi indebitati. Timo Soini ha costruito la fortuna del proprio partito battendo sul tasto dell’antieuropeismo; il Partito di Centro ha abbracciato posizioni simili ormai da diversi mesi: ma chi si aspettava dalle elezioni di domenica la sollevazione di un’onda anti-europeista in Finlandia allora sarà rimasto deluso.
Gli scenari si fanno dunque meno bui di quanto si poteva pensare. Ma le incognite restano. Katainen incassa una riconferma pur vedendo scendere il consenso nei propri confronti; i socialdemocratici si scoprono ancora in ritardo; i centristi escono bene dal voto e i Veri Finlandesi non mettono a segno il colpaccio. La competizione all’interno degli schieramenti – sia di governo che di opposizione – si giocherà sulle contrapposizioni tra questi quattro partiti. La leadership dell’opposizione continueranno a contendersela Veri Finlandesi e Partito di Centro. Dall’altra parte, nell’esecutivo, potrebbero aprirsi nuove prospettive. Perché non è da escludere, ad esempio, che i laburisti (forse i veri perdenti di questa tornata elettorale) possano decidere d’ora in avanti di assumere un atteggiamento più aggressivo, marcando di più le loro politiche. E siccome parliamo del secondo partito di governo la cosa potrebbe essere non priva di conseguenze.