Quanto meno ha fissato una data di scadenza per la presentazione delle candidature, il 17 novembre. E – ancora meglio – ha confermato che le primarie si faranno. Magra consolazione per chi attendeva di vedere il primo scatto da leader di una coalizione, interamente da costruire, dei moderati da parte di Angelino Alfano. Invece, la batosta rimediata nella sua Regione, la più inespugnabile delle roccaforti del centrodestra italiano, ha influito ancor di più e – decisamente – in misura peggiore della conferenza stampa canagliesca di Berlusconi a villa Gernetto.
Staccato di 6 punti Nello Musumeci, l’unico profilo politico di destra ancora socialmente spendibile per il palazzo che fu degli impresentabili Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, il segretario del Pdl si è trovato nel mezzo a due fonti di destabilizzazione e ha preferito aggirarle entrambe. Partiamo dalle affermazioni degne d’interpretazione di questa giornata elettorale: “In Sicilia abbiamo perso, perché abbiamo diviso i moderati” pur apprezzando il 25% raccolto nella corsa diretta per il governatore. Una prima analisi del voto condivisa con l’ex premier: “Ho sentito Berlusconi e lui è d’accordo con me sulla Sicilia”. Alfano ha pure preso le distanze dai presunti interpreti dell’ortodossia berlusconiana, un siluro diretto a Santanché e soci sulle richieste di rottamazione del partito. Indubbiamente una notizia, se interpretata come anticipo di una competizione ricca di fendenti reciproci, e di qualche colpo proibito, perché aperta, gara vera come dovrebbero essere le primarie.
Chiaramente un modo di restare al fianco di Berlusconi, con l’obiettivo di smussare alcuni angoli del suo antimontismo per trovare una coerenza fra i toni infuocati del fine settimana contro Merkel, politiche recessive e governo tecnico con l’appoggio nei cinque giorni lavorativi ad ogni decreto o mozione di fiducia a Monti.
Al fianco dell’ex premier, alla ricerca di una legittimazione tramite il voto popolare delle primarie, ma al contempo con l’ombra caimanesca dell’eterno presidente pronta a ripalesarsi ogni qualvolta nelle aule giudiziarie i procedimenti penali iniziano a volgere verso la tempesta. Questa è la grande aporia del cammino politico di Alfano. Fattosi ancor più accidentato col k.o. siculo. Lo strappo sarà stato interpretato a margine di una giornata così amara improponibile per non portare il Pdl all’ultimo stadio del processo di autodistruzione. Ugualmente, andrebbe ribadito, proseguire sulla strada della vita da leader sottoposto ad un tutore, potrebbe essere un gioco autolesionistico per l’immagine del segretario.
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[ad]E poco male se gli avversari intellettuali lo definiscono il “Caimano dal volto umano” (elegante definizione di Massimo Giannini della “Repubblica”), grande disastro invece se così continuerà ad essere percepito da una larga fetta di elettori moderati.
Quel gruppo sociale, in realtà, avrebbe pure mandato un segnale moderatamente incoraggiante per il centrodestra e, ad un tempo, assolutamente temibile per la buona salute della democrazia in Italia. Il 53% degli elettori, piuttosto che trovare nuova collocazione dopo le ripetute scottature col centrodestra, preferisce restare a casa.
A dimostrazione che la maggioranza dei siciliani e degli italiani – nell’ultimo sondaggio Emg fra indecisi e astenuti si arriva ad un 47% – trova inaccettabile dare un voto a sinistra o in tanti casi affidarsi alla protesta di Grillo. Un mare di elettori, ancora in attesa di un leader affine a cui poter consegnare con qualche speranza istanze modernizzatrici.