Abbiamo dato notizia, qualche giorno fa, dell’estremizzazione del conflitto siriano.
[ad]La situazione sembrava migliorata venerdì scorso quando, in occasione della festa islamica del sacrificio, Damasco, sotto la pressione dell’inviato speciale dell’ONU Lakhdar Brahimi, si era decisa una tregua di 3 giorni violata, da entrambe le parti. Il bilancio dei decessi degli tre giorni successivi stilato dall’osservatorio siriano per i diritti umani è di almeno 146 persone uccise, delle quali circa un terzo civili.
Di contro il leader di al Qaida al-Zawahiri accusa la comunità internazionale di aver architettato il tutto per dare la possibilità ad al-Assad di proseguire più tranquillamente nella sua opera di repressione, favorito dalla tregua. Il capo dei ribelli della città di Aleppo, citato dall’agenzia Afp, ha sparato sulla tregua secondo lui “nata morta” accusando l’ONU di totale inutilità.
Le reazioni dei ribelli sono state discordanti: un gruppo ha sequestrato un giornalista di origini libanesi, Fidaa Itani il cui “lavoro è incompatibile con la rivoluzione siriana”, stando all’accusa da loro mossagli.
Gli attacchi non riguardano solo i civili ma anche i luoghi di culto: oltre agli attacchi alle moschee fa notizia l’attacco con una autobomba della chiesa di rito siriaco di Deir ez-Zor, nella Siria orientale.
Da parte governativa arrivano le medesime accuse: l’esecutivo accusa i ribelli di aver violato loro per primi il cessate il fuoco mentre i comitati locali di coordinamento (Lcc) dell’opposizione affermano che sono stati bombardamenti in particolare su Duma, Zamalka e Erbin, sobborghi alle porte di Damasco, a violarla.
L’emergenza aggrava ulteriormente la situazione dei vari campi profughi: i più importanti si sono formati sul confine turco, la pressione di coloro che scappano aumenta e i circa ottomila profughi che attendevano di passare il confine la scorsa settimana potrebbero essere un felice ricordo. I posti messi a disposizione dai turchi stanno per esaurirsi e l’UNHCR ha preparato 550 tonnellate di rifornimenti per questi giorni: negli ultimi giorni circa 8000 siriani sono bloccati in attesa di entrare e di ricongiungersi ai 110mila profughi già presenti in territorio turco, in maggioranza iracheni; in Libano sono presenti circa 7000 profughi siriani, circa 5000 registrati con l’UNHCR in Giordania, con altri 2000 in attesa di registrazione.
L’UNHCR cerca di garantire loro un supporto costante con distribuzione di cibo e generi di prima necessità e col supporto di ONG locali, cercando di aiutare i bambini a continuare dei percorsi di normalizzazione attraverso la frequenza scolastica, effettuata sia in scuole locali che in scuole nei campi profughi: nei campi turchi sono state istituite 68 classi con insegnanti di lingua araba.
L’aumento dei profughi, però, fa registrare, secondo gli iracheni, un aumento dei prezzi dei beni di prima necessità: a ciò gli USA, con la collaborazione della Mezzaluna rossa siriana, cercano di dare un supporto con un contributo di 180 dollari al mese per famiglia che faccia fronte alle necessità di 97000 rifugiati.
La situazione è estremamente fluida ed instabile e l’attività di mediazione dell’ONU sembra aver fallito: riuscirà la comunità internazionale a ribaltare la situazione e a costringere entrambe le parti ad una mediazione?
di Riccardo Marchio