La sentenza del giudice unico Marco Billi, del Tribunale de L’Aquila, era destinata a suscitare polemiche ancora prima che venisse pronunciata. Qualunque fosse stato l’esito del giudizio, la sentenza era troppo attesa perché non fosse oggetto di una massiccia esposizione mediatica e, di conseguenza, di un gran numero di critiche.
[ad]Non è la prima e non sarà l’ultima sentenza che riguarda i fatti legati al terremoto che ha colpito l’Aquila il 6 aprile 2009 (proprio in questi giorni è stato condannato un architetto 85enne per la progettazione di un edificio). Ma per diverse ragioni, questo processo è stato vissuto come emblematico di una caccia al “responsabile del terremoto”. Beh, non è così, né potrebbe esserlo.
Un processo penale ha la funzione di individuare ed accertare le responsabilità individuali in relazione a condotte o ad eventi che sono sotto la sfera di controllo dell’agire umano. Tutto ciò che travalica questi limiti non può essere oggetto di una responsabilità penale.
E, chiaramente, un evento sismico non può avere responsabili.
Ma può esistere un grado di responsabilità sugli effetti originati da un terremoto. Perché se l’uomo non ha il potere di impedire un terremoto, può scongiurarne o limitarne notevolmente i danni.
Ed è proprio questo che il processo che ha visto condannati sette ex membri della commissione grandi rischi intendeva accertare: se alcune delle morti avvenute a seguito del terremoto che ha devastato L’Aquila potevano essere evitate.
[ad]È stato detto, da più parti, che i sette imputati erano accusati di “non aver previsto il terremoto”. Ma, per le medesime ragioni accennate prima, non poteva essere questo l’oggetto dell’accusa. Le attuali conoscenze scientifiche non consentono la previsione di un terremoto e, per questo, nessuno potrebbe essere ritenuto responsabile di non essere stato in grado di avvertire dell’imminenza di un sisma.
C’è qualcosa che si può prevedere, però, qualcosa che, anzi, sarebbe stato compito precipuo della Commissione Grandi Rischi prevedere e valutare: i possibili danni che un sisma di media ed elevata potenza avrebbe potuto causare nella città de L’Aquila. Ed invece il messaggio diffuso a seguito dell’ormai celeberrima riunione tenuta dalla Commissione il 31 marzo 2009 invitava la popolazione a stare tranquilla, sulla base di quali evidenze scientifiche, tuttavia, è ancora un mistero. L’attenzione non deve essere rivolta esclusivamente al verbale redatto in seno a quella riunione, nel quale si affermava l’estrema improbabilità di una scossa sismica di potenza rilevante, ma a quanto effettivamente fu comunicato dai membri della Commissione alle autorità che avrebbero dovuto provvedere a mettere in atto tutte le misure opportune di prevenzione e che invece sono rimaste sostanzialmente inerti proprio sulla base delle rassicurazioni ricevute dalla Commissione Grandi Rischi.
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Quel verbale, infatti, è indice di quanto i membri della Commissione nazionale per la previsione e la prevenzione dei grandi rischi (questo il nome completo dell’organismo) hanno riferito alle autorità presenti alla riunione ed è questo fattore ad essere rilevante penalmente. Se avessero dato informazioni meno rassicuranti e più complete, molto probabilmente (è questo l’iter logico seguito dalla Procura), sia le autorità che i cittadini avrebbero messo in atto operazioni precauzionali che avrebbero consentito danni notevolmente minori ed impedito alcune morti.
[ad]Peraltro, la circostanza – adombrata da alcuni – che il verbale sia stato in realtà redatto e sottoscritto solo successivamente alla data del terremoto, lungi dallo scagionare i commissari, ne aggrava probabilmente la responsabilità, in quanto insinua il dubbio che, al momento della redazione sia stato simulato un atteggiamento più prudente di quello tenuto in realtà.
Abnorme è poi l’assunto di quanti hanno ritenuto che il Tribunale de L’Aquila abbia posto sul banco degli imputati “la Scienza”.
Tale convinzione non è altro che il frutto di metonimia logica: si scambia il soggetto effettivo per una figura ideale ed astratta che ha con il primo solo un legame contingente. Fuorviante è anche il paragone con il processo a Galileo Galilei, suggerito addirittura da un Ministro della Repubblica.
Da assolutizzazioni di questo tipo, estremamente riduttive e quasi manichee bisogna sempre tenersi alla larga, perché determinano effetti paradossali. Allo stesso modo si potrebbe affermare che chiunque abbia espresso critiche sulla sentenza voglia in realtà colpire “la Giustizia”.
Verosimile è, invece, un’altra convinzione ricorrente: ovvero che da oggi in poi sarà più difficile trovare persone che vogliano accettare incarichi di consulenza. Ma, su questo punto, vorrei sottolineare come far parte della Commissione Grandi Rischi non equivale ad un semplice contratto di consulenza: partecipare ad un organismo di quella natura significa avere responsabilità istituzionali. Ed è in forza di queste responsabilità che il Prof. Boschi e gli altri sono stati condannati: non perché scienziati, quindi, ma per un grave errore di valutazione e per una conseguente minimizzazione del “rischio sismico”. Si faccia attenzione: con quest’espressione non ci si riferisce alla probabilità che un terremoto si verifichi (non calcolabile), ma, come accennato, alla individuazione dei danni possibili qualora un terremoto dovesse verificarsi (prevedibili e calcolabili).
D’altra parte, anche nella comunità scientifica si sono registrate voci dissonanti: il vulcanologo Tedesco, intervistato dall’Huffington Post, ha evidenziato l’errore dei suoi colleghi che avrebbero previsto “un non terremoto”. Il ragionamento è cristallino: se un terremoto non può essere previsto, nemmeno si può prevedere che un terremoto non ci sarà! Peraltro, gli stessi scienziati statunitensi che poi hanno criticato duramente la sentenza, avevano sottolineato una certa incapacità degli scienziati italiani nella “comunicazione del rischio”.
Infine, se l’atteggiamento tenuto dalla Commissione Grandi Rischi nel 2009 fosse da ritenere ineccepibile, non si comprenderebbe il deciso cambio di rotta tenuto dall’attuale capo della protezione civile Gabrielli, che, in occasione dello sciame sismico nel Pollino, ha allertato la popolazione a tenere un atteggiamento prudente e cauto, stimolando le amministrazioni locali all’evacuazione degli edifici non sicuri e all’allestimento di tendopoli per quanti abbiano timore di restare nelle proprie abitazioni. Tutto questo prima della scossa registrata pochi giorni fa di intensità superiore ai 5 gradi della scala Richter.
Possiamo umanamente augurarci che, in appello, le condanne siano sensibilmente riviste al ribasso e ritenere che dovrebbero essere previsti legislativamente margini di responsabilità più netti, ma questa sentenza ci ha aiutati a non minimizzare i danni che un’informazione inadeguata può causare.
di Francesco Conte